Trump a Zelensky: pace o perdi il Paese

No ucraino alla cessione di Crimea e territori senza garanzie, salta il vertice. Furia Donald

Trump a Zelensky: pace o perdi il Paese
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La convinzione di poter ricattare Zelensky ha spinto Donald Trump a esagerare. La fretta è sempre una cattiva consigliera, e Trump adesso ha fretta: vuole a tutti i costi entro fine mese, allo scadere dei primi cento giorni della sua presidenza, un cessate il fuoco tra Russia e Ucraina. E così ha fatto presentare dalla coppia Rubio-Witkoff una proposta che a suo avviso visti i toni ultimativi utilizzati non si poteva rifiutare, mentre per gli ucraini al contrario non si poteva proprio accettare.

E infatti l'hanno respinta, contando sul sostegno degli alleati europei che insistono sul rispetto dell'integrità territoriale ucraina e sul diritto di Kiev di decidere del proprio futuro. Il che ha portato al naufragio della riunione di Londra in cui (molto in teoria) si sarebbe dovuto discutere di concreti passi avanti verso la pace. E alla rabbiosa reazione di Trump, che come sempre addossa ogni colpa a Zelensky e alle sue «dichiarazioni incendiarie che prolungheranno il campo di sterminio e rendono difficile la pace».

Come hanno spiegato i funzionari di Kiev, i punti del piano Usa a favore di Putin erano esageratissimi, mentre per Kiev non restava quasi niente. Ecco cosa Zelensky avrebbe dovuto accettare: riconoscimento «de iure» della sovranità russa sulla Crimea illegalmente occupata nel 2014, accettazione «de facto» del controllo (leggi: annessione) russo sui territori ucraini occupati nel sud-est del Paese, stop tombale al percorso di adesione dell'Ucraina alla Nato, allentamento delle sanzioni economiche che oggi ostacolano la capacità russa di riarmo, costringendola a mendicare in Iran, in Corea del Nord e in Cina. Agli ucraini, invece, le briciole: la «restituzione» di pochi chilometri quadrati della provincia di Kharkiv oggi in mano ai russi, una «solida garanzia di sicurezza affidata ai soli europei», assistenza per la ricostruzione, e l'incredibile passaggio in mano americana della centrale nucleare ucraina di Zaporizhzhia.

Un piano che sembra scritto da Vladimir Putin, e che invece è stato presentato dagli (ex) amici americani. Volodymyr Zelensky è stato secco e chiaro, ribadendo le «linee rosse» che aveva già tracciato il giorno prima: sì a colloqui con la Russia solo dopo che un cessate il fuoco sia entrato in vigore, ma nessuna accettazione legale di perdite territoriali. «Non c'è niente di cui parlare qui. L'Ucraina non riconoscerà legalmente l'occupazione della Crimea, questo è contro la nostra Costituzione». La riunione di Londra a livello di ministri degli Esteri è quindi saltata: il segretario di Stato Usa Marco Rubio ha deciso di non presentarsi nemmeno, lasciando nella capitale britannica solo una delegazione. A quel punto anche francesi e tedeschi hanno fatto la stessa scelta.

Tutto rinviato, dunque, in attesa di conoscere le reazioni di Putin. La guerra, com'era facile prevedere, continuerà per chissà quanto, mentre le distanze tra Washington e l'Europa aumentano.

E mai come ora suonano insincere le parole del vicepresidente Usa JD Vance, pronunciate ieri: «Abbiamo davvero cercato di capire le cose sia dal punto di vista degli ucraini che dei russi, credo che abbiamo messo insieme una proposta molto equa».

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