Turetta, lettera ai genitori. "Non merito il perdono"

Agli atti del processo il testo scritto dopo l'arresto in Germania: "Ho peggiorato il mondo, rinnegatemi"

Turetta, lettera ai genitori. "Non merito il perdono"
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«Non esiste perdono e io non lo voglio, non lo merito. Ho perso la persona più importante della mia vita e tutto per colpa mia». È il 20 novembre del 2023. Filippo Turetta è stato arrestato 48 ore prima dalle parti di Lipsia, in Germania, dopo che otto giorni prima ha ucciso l'ex fidanzata Giulia Cecchettin con 75 coltellate. Una fuga disperata di mille chilometri, cento dei quali percorsi di notte col cadavere della 22enne in auto. Appena entrato nel carcere di Halle, Turetta chiede carta e penna. E scrive una lunga lettera ai genitori. Tra quelle righe emergono disperazione, pentimento e la volontà di togliersi la vita ma anche la lucidità di chi ha ingannato e massacrato una ragazza. Ci sono parole pensate ma anche frasi senza soluzione di continuità, è quasi come leggere un flusso di coscienza. Il reo confesso scrive: «Ho generato tanto odio e tanta rabbia. E me lo merito. Ho peggiorato il mondo in qualche modo».

Nella missiva, scritta di suo pugno, Turetta non entra nei truci dettagli del femminicidio ma rivela: «Non so perché l'ho fatto, non avrei mai pensato o voluto succedesse niente del genere. Io non sono cattivo, lo giuro, vorrei tutto tornasse indietro e non fosse successo niente». L'omicida non scrive mai il nome di Giulia ma della «persona che è tutto per me e che da due anni penso ininterrottamente ogni giorno, la persona più bella e speciale che potessi mai incontrare». Ed è proprio per la mole di pensieri sparsi messi nero su bianco che quella lettera è finita agli atti del processo appena iniziato alla Corte d'Assise di Venezia. Filippo si rivolge direttamente ai genitori sperando «che nessuno vi giudichi negativamente, vi guardi male, rovini la vostra situazione lavorativa o affettiva o le amicizie. Non c'entrate assolutamente niente. Anzi, dovreste essere aiutati perché siete sempre stati degli ottimi genitori, mi avete sempre educato al meglio». E poi: «Capirei e accetterei se d'ora in poi volete dimenticarmi e rinnegarmi come figlio e probabilmente sarebbe la scelta migliore per la vostra vita. Io stesso non so se ho ancora il coraggio di farmi vedere da voi. Penso che probabilmente sarebbe meglio un figlio morto che un figlio come me».

L'elemento del suicidio ricorre continuamente, quasi come una persecuzione. I tentativi di soffocarsi con un sacchetto, di schiantarsi con l'auto, di sferrare il coltello alla gola o al torace. «Tutti questi giorni che sono scomparso io non volevo fuggire o scappare. Desideravo solamente riuscire ad uccidermi in qualche modo. Sono un codardo e debole e purtroppo non ce l'ho fatta». Qualche centinaio di parole disegna un Turetta prostrato, figura che pare fare a schiaffi con l'immagine del Turetta feroce assassino.

E il nodo del processo che lo vede coinvolto e unica voce (non sono previsti testimoni) sembra proprio essere questo: possono coesistere le due figure nella stessa persona? La risposta si tradurrà nella sentenza di condanna, prevista il 3 dicembre.

Intanto anche nel carcere di Verona dove si trova detenuto da mesi, il giovane continua a scrivere. Gliel'ha chiesto il suo avvocato in vista dell'interrogatorio al quale si sottoporrà il prossimo 25 ottobre.

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