Hanno una chat ma per gli appuntamenti non la usano. Non hanno bisogno di scrivere mezza parola, si aspettano e basta. Una silente dimostrazione della superiorità di genere: alle loro mogli, per coordinarsi sullo stesso cappuccino, servirebbero tra i quindici e i venti messaggini. Invece arrivano come le regate, prima uno, poi l'altro, poi l'altro... Hanno appena lasciato i figli a scuola, chi li ha «scaraventati» giù dal suv, chi li ha fatti scendere dallo scooter slacciandogli amorevolmente il casco, chi, più ecologicamente, li ha scortati in bicicletta. Il tavolo del bar accanto all'istituto è sempre lo stesso, magicamente libero malgrado il brulichio di mamme in cachemire, con labrador annoiatissimi e collari svizzeri o borse con il cambio per la lezione di pilates.
La quota virile della colazione si addensa sul divanetto sotto alla finestra. Orgogliosi, vagamente predatori, significativamente vanesi: sono «i papà della scuola» come testimonia l'autoreferenziale «titolo» della chat che li tiene uniti e li celebra ormai da anni. Negli scambi su whatsapp scorrono uno dietro l'altro appuntamenti per le cene maschili, organizzazioni dei week end con le famiglie, commenti sui fatti di attualità, qualche articolo di giornale scambiato e moltissime foto di tette rigogliose. Ma adesso sono al bar, davanti ai caffè d'orzo, ai cornetti alla crema, alle spremute d'arancio e ai loro smartphone. E sono padri meravigliosi di figli competitivi (indipendentemente dal fatto che competitivi, i figli, lo siano davvero).
In un esercizio pieno di signore che reputano papabili quanto nullafacenti, loro si sentono il vessillo del maschio illuminato: sono uomo, lavoro, guadagno, pago, pretendo ma sono qui ad accompagnare mio figlio a scuola. Ho la Porsche ma resto umile, sono in carriera ma divido i compiti con la mia consorte, potrei avere tutte le donne che voglio ma sono un padre amorevole, sono qui per mio figlio, ma non mi perdo una mamma. Sono tra i cinquanta e i sessant'anni e hanno appena incominciato ad essere giovani.
Si reputano capaci di rapporti e conversazioni genuine, scevre delle dinamiche femminili di invidia e ostentazione. Sono abili nell'essere amici senza intralciarsi con confronti e doppi fondi ma l'esibizione di sè fa inevitabilmente capolino tra i tovagliolini di carta ruvida e le bustine di zucchero. L'ultimo contratto chiuso, la macchina nuova, la casa in montagna, la vacanza oltreoceano. Il figlio che ha passato il test tra mille candidati, quello che è diventato capitano della squadra di calcio, la moglie che ha ereditato l'azienda, l'orologio ricevuto per l'anniversario, l'anello regalato per la stessa ricorrenza. Sarà il contagio delle mamme nel tavolo accanto, ma la competizione sociale serpeggia infida. E dall'esibizione pubblica si passa alle lamentele private. Le mogli, le fidanzate, le amanti (vere o presunte). I separati che tornano invidiabilmente single e hanno racconti che arrivano da un'altra vita: primi «nuovi» appuntamenti durante i quali giocano a fare i tardivi fidanzati. Di quelli che si congedano sulla porta di casa, proprio quando l'incontro avrebbe dovuto cominciare. Gli altri hanno mogli, suocere, cognate. Ironizzano annoiati su giornate in cui si fingono sordi mentre il resto della famiglia si rammarica di non esserlo. Poi ci sono gli outsider. Sono nel gruppo dei padri rampanti ma in realtà non ci sono. Imbarcati chissà quando e chissà perché. Forse all'epoca delle elementari dei figli, quando lo spirito di comunanza era quasi inevitabile. Poi sono rimasti impigliati in un'appartenenza alla quale non appartengono: miti, insicuri, avulsi. Gli altri giocano a tennis, sciano, vanno in palestra, loro hanno corpi che ben dopo i vent'anni camminano ancora come se il mondo non fosse loro. Sono cicciottelli o magrissimi, involuti, vestiti in qualche modo. E hanno consorti che li schiacciano, che parlano poco ma male di tutti. E hanno figli adolescenti guidati da una bussola incostante che li giudicano e li trovano scarsi.
E ci sono i compiaciuti: il loro passaggio per il mondo è una festa anche quando vanno dal tavolo al bancone per ordinare un caffè d'orzo. Il breve tragitto si dilata e diventa interminabile si gonfia quanto il loro petto tronfio e gli dà il tempo di salutare dieci madri su quindici, tutte per nome. Hanno la grisaglia, lo scooter, l'azienda, la moglie sessualmente attiva dopo anni di matrimonio, molte altre amiche ancora di più dopo anni di clandestinità. Hanno figli dei quali sono i migliori amici, genitori fisicamente gagliardi con triple case, macchine d'epoca e conti in svizzera, sorelle sposate a lupi di Wall Street. Sono stati gli allievi prediletti delle professoresse dei loro bambini, hanno capi donne sottomesse al loro fascino.
Pacche sulle spalle, conti pagati a turno, smartphone vibranti: la colazione dura una quarantina di minuti.
Giusto il tempo di confermare ai «papà della scuola» di essere tutta un'altra cosa rispetto alle mamme del tavolo accanto. Un inossidabile gruppo capace di genuina amicizia maschile che non ha bisogno di dar sfoggio di sè.
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