Se Nasrallah sia vivo o morto, ancora non si sa con certezza: ma il centro di comando degli Hezbollah che guida almeno 40mila combattenti e governa 200mila missili, è distrutto. Netanyahu è sulla via del ritorno da New York, nonostante di Shabbat secondo la tradizione ebraica sia proibito viaggiare. Ma quando si tratta di «pikuah nefesh», questione vitale, allora è permesso. E qui il caso è senza dubbio questo: questione vitale.
Tutto può succedere adesso. Se Nasrallah, il mitologico assassino capo degli Hezbollah succeduto a Najaf al Mussay eliminato nel 1992, è ancora vivo, probabilmente vorrà dimostrare che può ancora dare fuoco a Israele per intero. Il fronte interno sta già dando istruzioni alla popolazioni tramite la radio e la tv: state vicini ai rifugi. Nasrallah potrebbe reagire subito inducendo anche l'Iran a intervenire immediatamente per punire Israele, come non ha fatto per l'attacco dei beeper e l'eliminazione dei suoi capi di Stato maggiore successivi. Se invece è stato ucciso dall'attacco di Israele, il suo effetto potrebbe essere quello di paralizzare il nemico per un certo periodo, di bloccarlo finché riorganizza le forze dopo lo shock della perdita del capo supremo.
Nasrallah è (o era) il parlatore instancabile, genio del male, inventore della teoria della debolezza sostanziale della società israeliana in quanto tipicamente occidentale. Questa sua invenzione psicologica ha certo ispirato l'idea della possibilità di distruggere lo Stato Ebraico con attacchi militari e anche psicologici, che spezzassero l'unità. Sinwar ne ha tratto ispirazione esplicitamente. L'operazione «bombe sul rifugio di Nasrallah» a Dahya, il quartiere Hezbollah a Beirut, è partita quando Netanyahu stava per salire ieri sul podio dell'Onu per ribadire la guerra di necessità di Israele contro gli Hezbollah. Nasrallah ha deciso di fiancheggiare gli assassini di Hamas e quindi di rendere fantasma una grande regione. È la decisione inamovibile di riportare a casa i più di 60mila cittadini fuggiti dal confine per l'aggressione di Nasrallah, ha detto Netanyahu, che ci porta a combattere, e ce la faremo. Nel frattempo si compiva di sorpresa la più grossa operazione di guerra compiuta fin qui. Il grande bunker di Nasrallah è stato colpito, distrutti i rifugi profondamente nascosti sotto edifici. Ieri potrebbe avere pensato che in una giornata relativamente interlocutoria, con la proposta americana sul terreno, poteva allentare leggermente la guardia, specie mentre Netanyahu era negli Usa.
La decisione di Israele si incastona nel discorso dal podio newyorkese: è solo con una guerra decisa che si conquista, ha detto Netanyahu, una vera pace per Israele, altro non si può fare contro i tanti nemici guidati dall'Iran che vogliono la sua distruzione da sette fronti.
Teheran ieri sera ha già annunciato che le regole del gioco sono cambiate. Sembra logico che intenda prendere decisioni che lo disegnino come l'affidabile scudo di tutto il mondo sciita e di Hamas. D'altra parte, certo Israele ha pensato a questa possibilità, e l'Iran lo sa bene.
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