Un'esplosione squarcia il sabato sera russa. Sono le 21,45 ora locale, le 20,45 in Italia. Sulla trafficata Mozhayskoye Shosse, nei pressi del villaggio di Velyki Vyazomi, alla periferia ocidentale di Mosca, venti chilometri a Ovest rispetto alla capitale, salta in aria una Toyota Land Cruiser Prado. Il Suv è intestato a Aleksandr Dugin, 60 anni, da alcuni considerato uno degli ideologhi di riferimento di Vladimir Putin. Ma non c'è lui a bordo. C'è la figlia trentenne, Darya Platonova Dugina, da sola. Il suo corpo è estratto carbonizzato dalla vettura che nel frattempo si è rovesciata e ha preso fuoco, illuminando a giorno la notte moscovita.
Passano poche ore e la Rete si riempie di immagini dal luogo dell'esplosione. In un filmato si vede un uomo con la lunga barba bianca e le mani nei capelli, a pochi metri dalle fiamme, tra rottami e detriti. Quell'uomo è Dugin appena arrivato sulla scena. Su quel volto il dolore per la morte della figlia e il terrore dettato dalla consapevolezza che a bordo di quell'auto avrebbe potuto, avrebbe dovuto esserci anche lui. Padre e figlia erano appena stati a un festival, lui per tenere una conferenza, lei come ospite, e stavano tornando a casa. Solo per un caso all'ultimo l'ideologo è salito su un'altra vettura, lasciando inconsapevolmente all'amata Darya il biglietto per l'inferno.
L'esplosione della Toyota è un attentato. Gli inquirenti russi ritengono probabile che sul Suv qualcuno avesse piazzato un ordigno esplosivo. Per uccidere con ogni probabilità Dugin stesso, l'uomo che con le sue teorie avrebbe dato un sostrato filosofico all'aggressione dell'Ucraina. Anche se poi in molti considerano Dugin un eccentrico, una figura marginale lontana dal cuore del dibattito politico proprio a causa delle sue teorie troppo ardite.
Non ci mette molto l'establishment vicino a Putin a mettere sotto accusa Kiev. Il primo a prendere posizione è il capo dell'autodichiarata repubblica filorussa di Donetsk, Denis Pushilin: «Vigliacchi infami! I terroristi del regime ucraino, nel tentativo di eliminare Aleksandr Dugin hanno fatto saltare in aria sua figlia. Era una vera ragazza russa!». Subito dopo la portavoce del ministero degli Esteri di Mosca Maria Zacharova interviene: «Se la pista ucraina venisse confermata, allora dovremmo parlare di politica di terrorismo di Stato attuata dal regime di Kiev». Punta il dito anche Akim Apachev, amico della famiglia Dugin, uno degli ultimi ad avere visto Darya: «È ovvio che da oggi non ci sono più luoghi sicuri in Russia. L'unico modo per proteggere il Paese è distruggere il nostro nemico naturale seduto a Kiev, Dnepropetrovsk, Kharkov, Nikolaev, Odessa e in altre città russe». Ma il consigliere della presidenza ucraina, Mikhailo Podolyak, taglia corto: «L'Ucraina non ha nulla a che fare con l'omicidio della figlia di Dugin».
È un giorno complicato: poche ore dopo Oleksandr Nakonechny, il capo di un ramo regionale del Servizio di sicurezza ucraino (Sbu), quello di Kirovgrad, viene trovato morto. La moglie riferisce di uno sparo, probabilmente si tratta di suicidio ma un'altra indagine si apre. Ma il giallo che può cambiare l'immediato futuro della guerra in Ucraina è a Mosca. Naturalmente la pista di un sabotaggio ucraino sta in piedi, Dugin e la figlia rappresentano target credibili. Ma la storia insegna che a Mosca la prima risposta non è sempre quella giusta. Esiste un fronte interno che si oppone alla guerra. E c'è chi avrebbe interesse a colpire gli estremisti del putinismo. Secondo Ilya Ponomarev, ex deputato della Duma russa, dietro alla bomba potrebbe esserci un gruppo partigiano.
Lo riferisce «The Guardian»: «Parlando a Kiev, dove vive, Ponomarev - scrive - ha affermato che l'esplosione di sabato sera è stata opera dell'Esercito Nazionale Repubblicano», «gruppo clandestino che lavora» per «rovesciare il regime di Putin». E invece attribuire rozzamente l'attentato agli ucraini potrebbe diventare il pretesto per un'ulteriore escalation. Nulla di buono da Mosca.
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