Uccise la sorella, condanna a metà

Riconosciuta la seminfermità a Scagni, per lui 24 anni. I genitori: "Processo non sano"

Uccise la sorella, condanna a metà
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Omicidio premeditato sì, ma da una persona seminferma di mente. Pena: 24 anni di carcere, poi altri tre in una residenza per malati di mente. È la prima sentenza per l'omicidio di Alice Scagni, 35 anni, massacrata con 24 coltellate dal fratello Alberto, 42 anni, a Quinto, Genova, il 1° maggio del 2022 nonostante i familiari avessero più volte chiesto aiuto alle forze dell'ordine. «A signò, non fàmola tragica», si sentono dire dal centralinista del numero unico di emergenza dopo l'ultima telefonata di Alberto che preannuncia la mattanza. «Lo sai stasera dove sono Gianluca e tua figlia? Se non trovo i soldi sul conto tra 5 minuti, lo sai dove cazzo sono?». Per il 112 non basta per mandare qualcuno sul posto e Alberto, dopo aver atteso ore sotto casa della sorella, quando la vede le si scaglia contro uccidendola con un coltello. Avrebbe voluto ammazzare anche il marito ma, fortunatamente, si trovava altrove.

A nulla è servito l'avvertimento del giorno prima quando Alberto si presenta a casa della nonna per dar fuoco alla porta. Secondo il Tribunale Scagni è malato e, dopo il carcere, va curato. Il pm Paola Crispo aveva chiesto l'ergastolo in quanto, secondo i periti di parte civile, l'uomo è pienamente capace di intendere. Non è escluso che, una volta depositate le motivazioni della sentenza, la Procura non impugni il verdetto. Dura reazione di Antonella Zarri e Graziano Scagni, i genitori della vittima e dell'assassino: «Ci sono stati rubati due figli. Abbiamo chiesto ad alta voce la giusta pena per Alberto ma non è stata ricercata la verità. Per noi non è stato un processo sano, non può esserci giustizia. Non siamo stati nemmeno ascoltati. Alberto va curato, aspettiamo che abbia 90 anni per farlo?».

Secondo la giuria presieduta da Massimo Cusatti, Scagni ha un vizio parziale di mente. «Si esclude la crudeltà e il mezzo insidioso», dice la sentenza. Due le perizie psichiatriche. Quella di Elvezio Pirfo, nominato dal giudice, secondo il quale Scagni è una persona «antisociale, narcisista, borderline, socialmente pericolosa». Di segno contrario quella del consulente della Procura, Giacomo Mongodi, secondo il quale l'assassino è pienamente capace di intendere e volere. Due valutazione diametralmente opposte che si scontrano duramente in aula. Alla base dell'omicidio la richiesta di denaro che Alberto fa ai genitori, altrimenti avrebbe ucciso la sorella e il marito. Il killer in poche settimane sperpera 15mila euro del suo fondo pensione. Dopo le minacce il padre telefona alla centrale di polizia per segnalare il pericolo. «State in casa. Richiamate solo se vostro figlio si presenta e fate una denuncia altrimenti non possiamo intervenire».

È giorno di festa, le volanti in città sono poche e, secondo l'agente, i signori Scagni la stanno facendo tragica. Ai poveretti, insomma, non resta che sperare che non accada nulla. Inutilmente. Per la Procura il delitto è preceduto da una serie di drammatiche negligenze.

A tragedia compiuta i genitori presentano un esposto contro i due agenti della sala operativa che non sono intervenuti e il medico del centro di salute mentale della Asl3, una dottoressa, per aver sottovalutato gli allarmi e le richieste di aiuto dei giorni precedenti: «È sempre più aggressivo, intervenite». Per l'indagine sui tre accusati di omissione in atti d'ufficio il pm ha chiesto l'archiviazione perché i familiari «non hanno sporto denuncia e le forze dell'ordine non potevano valutare in anticipo la pericolosità».

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