Ucciso il rapper tedesco affiliato al Califfo

A Vienna si tratta sul futuro della Siria e in Siria va avanti il rafforzamento delle operazioni militari su tutti i fronti. Fonti del Congresso americano hanno rivelato ieri l'invio nel Paese di un piccolo contingente di forze speciali, tra i 20 e i 30 uomini. Più tardi nella giornata la stessa Casa Bianca ha confermato la notizia sottolineando come le unità non avranno compiti di combattimento ma di assistenza e formazione di gruppi armati moderati contro il regime di Bashar El Assad.

La Russia - che nel conflitto siriano si trova sul fronte opposto rispetto agli Stati Uniti - ha subito criticato la mossa americana, che rappresenta un ennesimo passo nell'irrobustirsi di un conflitto lungo quattro anni e con sempre più attori coinvolti internazionali sul campo. «La decisione di Barack Obama non ha cambiato la nostra posizione - ha detto il ministro degli Esteri Sergei Lavrov - La Russia si pronuncia perché la lotta al terrorismo sia basata sul diritto internazionale». Secondo il suo vice, Sergei Ryabkov, nessuno può ricorrere alla forza in Siria senza prima averlo concordato con il regime di Assad, alleato di Mosca. Questo accade dopo l'entrata in campo a settembre delle forze russe in sostegno dell'esercito di Damasco, dove ieri nel quartiere dell'opposizione di Douma i jet siriani avrebbero fatto secondo l'Osservatorio per i Diritti Umani siriano circa 40 morti.

Gli Stati Uniti intendono inviare anche ulteriori aerei da guerra - F-15 e A-10 - nella base militare di Incirlik in Turchia, per portare avanti operazioni contro le forze dello Stato islamico in Siria e in Irak. Allo stesso tempo, forze speciali saranno presenti ad Erbil, nel Kurdistan iracheno, e Washington vorrebbe rafforzare la cooperazione con l'esercito iracheno in funzione anti-Stato islamico con l'obiettivo di ripendere l'importante nucleo urbano di Ramadi, nella provinicia di Al Anbar.

A Vienna ieri la diplomazia non ha fatto passi concreti. Per la prima volta dopo i colloqui sul nucleare l'Iran e gli Stati Uniti si sono seduti allo stesso tavolo dopo i negoziati sul nucleare che hanno portato all'accordo di giugno. Da sempre la posizione di Teheran, alleato di Damasco con Mosca, è che una soluzione in Siria non deve prevedere l'uscita di scena di Bashar El Assad, mentre Washington e i suoi alleati - l'Europa, l'Arabia Saudita e altri regimi sunniti della regione e del Golfo - vedono nella fine del governo del rais un elemento fondamentale per la pacificazione dell'area. La delegazione russa avrebbe dimostrato ieri «flessibilità» sulla questione del futuro del rais siriano, secondo quanto riportato dalla televisione araba satellitare, Al Jazeera , anche se lo stesso Lavrov ha poi ammesso il raggiungimento di intese importanti, ma non sul destino del presidente.

Se ieri in un primo momento erano emerse notizie anche di una apertura iraniana al compromesso su questo punto, la delegazione di Teheran presente a Vienna ha smentito la notizia riportata da alcuni media secondo cui il vice ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian avrebbe parlato di un consenso di Teheran all'idea di un'uscita di scena di Bashar, ipotizzando una transizione politica di sei mesi seguita da elezioni. «L'Iran non insiste nel tenere Assad al potere per sempre», avrebbe detto il diplomatico. Per il ministro degli Esteri iracheno Ibrahim al Jaafari non si è trovato alcun accordo ieri a Vienna, e per questo la settimana prossima dovrebbe esserci un nuovo incontro, questa volta con i grandi assenti di ieri: gruppi dell'opposizione siriana. I rappresentanti di 17 Paesi hanno discusso assieme all'Alto Rappresentante dell'Unione europea per la Politica Estera Federica Mogherini, l'inviato dell'Onu, Staffan de Mistura. Per l'Italia c'era il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni.

Nella camera dell'appartamento del quartiere Schöneberg di Berlino, dove vive ancora sua madre, fanno bella mostra due poster: uno è del calciatore ghanese Gerald Asamoah, il primo africano a vestire la maglia della nazionale tedesca, l'altro dei Run DMC, la band newyorkese che ha inventato e diffuso il rap nel mondo. Buona parte dell'esistenza di Denis Cuspert, alias Deso Dogg, Abu Maleeq e Al Almani, ucciso lo scorso 16 ottobre durante un raid aereo statunitense in Siria, è racchiusa nell'orgoglio delle origini africane, da qui il mito per l'ex centravanti (nato come suo padre ad Accra, la capitale del Ghana) e nella passione per la musica rap, al punto tale da offrirla in dono ad Al Baghdadi nel corso della sua affiliazione al terrorismo di matrice islamica.

Cuspert, morto due giorni prima di compiere quarant'anni, cantava per il Califfato e incitava i giovani tedeschi attraverso i social a unirsi alla jihad. Esiste un filmato della propaganda, che risale allo scorso aprile, dove Al Almani (letteralmente, il tedesco), minacciava la Germania. Le parole della sua performance facevano riferimento agli attentati di Parigi: «In Francia sono arrivati i fatti. In Germania i dormienti aspettano». Nel video scorrevano le immagini degli attentatori alla redazione di Charlie Hebdo e al supermercato kosher. «Anche se vivi in Germania, fai diventare tua la jihad», cantava. Il filmato è uno degli ultimi a essere stato trasmesso in rete, ma il rapper tedesco era diventato tristemente famoso per un'altra esibizione, del novembre 2014. Nei macabri fotogrammi lo si vedeva mentre teneva tra le mani la testa decapitata di un uomo giustiziato dagli islamisti. La testa ondeggiava come un pallone da una mano all'altra e nelle parole arrivavano minacce al presidente degli Stati Uniti Obama e alla sua famiglia. «Il nemico americano lo si può combattere anche in Germania», ricordava ai giovani che avrebbe voluto arruolare. E in parte c'è anche riuscito, visto che dal 2012 a oggi, grazie ai video di propaganda che circolavano su internet, avrebbe portato dalla parte di Al Baghdadi almeno 90 dei circa 300 tedeschi attivi in Siria e Irak.

Cuspert, che aveva iniziato a giocare a pallone nelle giovanili dell'Union Berlino senza però brillare di un qualche possibile talento, si era poi dedicato alla musica rap, passione che nel tempo aveva trasformato in vera e propria professione. Con il nome d'arte di «Deso Dogg» aveva inciso anche un paio d'album, ottenendo una piccola notorietà con passaggi sul canale tv Rtl . La sua però è stata un'esistenza borderline , con «un livello di instabilità emotiva piuttosto marcato», spiega Bernard Pfander, lo psicologo che l'ha avuto in cura. Esistenza che l'ha portato a contatto con la droga e il carcere. Secondo il dottor Pfander, Custer «non ha mai perdonato alla madre di aver divorziato dal padre per sposare un soldato americano», di stanza a Spangdahlem. Forse proprio da questo episodio sarebbe maturata la decisione di diventare un foreign fighter e un reclutatore, anche se nel 2010 si era già convertito all'islam assumendo il nome di Abu Maleeq.

La sua esistenza tormentata si è conclusa nel corso di un raid nei pressi di Raqqa, come ha confermato l'altro ieri la

portavoce del Pentagono Elissa Smith. Il cantante, hanno fatto sapere fonti vicine alla Casa Bianca, non era l'obiettivo dell'attacco aereo, ma da tempo era stato inserito nella lista dei più pericolosi ricercati internazionali.

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