Ue, il Pd respinge Letta sulle nozze con i 5 stelle. E Calenda lascia il Pse

Il leader a Bruxelles non convince il gruppo dem ad accogliere gli otto transfughi grillini

Ue, il Pd respinge Letta sulle nozze con i 5 stelle. E Calenda lascia il Pse

Enrico Letta corre a Bruxelles per preparare il terreno all'ingresso dei Cinque stelle superstiti (erano 14, ne sono rimasti solo 8 dopo varie defezioni) nel gruppo socialista di cui fa parte anche il Pd.

Un'operazione cui il segretario dem tiene molto, come ci tengono Giuseppe Conte e Gigino Di Maio, alla disperata ricerca di un approdo Ue, ma che ieri ha subito una frenata: «Ci sono le condizioni per aprire una interlocuzione, il cui esito non è predeterminato», è la convoluta sintesi affidata a fine riunione al capogruppo Brando Benifei.

Una frenata imposta dalla necessità di evitare strappi interni alla vigilia delle grandi operazioni per il Colle, cui Letta vuole arrivare tenendo compatti i suoi e i contiani su una strategia comune (e già l'ex capogruppo Andrea Marcucci, lamentando «il silenziamento del dibattito sul Quirinale», dice che Draghi «serve a Palazzo Chigi» e che dovrebbe essere il premier di una «maggioranza compatibile anche dopo le elezioni»).

La frenata è dovuta a due ordini di difficoltà: le resistenze all'abbraccio coi grillini interne allo stesso gruppo europeo del Pd, che già hanno provocato lo strappo di Carlo Calenda: «Letta conferma che si va verso l'ingresso di M5s. Un grave errore politico: per questo chiedo l'adesione al gruppo Renew», quello di Macron e - in Italia - di Renzi. E poi la confusione che regna tra gli eletti Cinque stelle, che ancora non sono riusciti a fare una richiesta formale di adesione a S&D (nuovo nome del gruppo Pse) perché alcuni di loro non vogliono convolare a nozze col «partito di Bibbiano» e schierarsi a sinistra in Europa.

Nella riunione di ieri con Letta, a porte chiusissime (a tutti gli eurodeputati presenti è stato chiesto di non rilasciare dichiarazioni alla stampa) il segretario dem, consapevole della divisione interna, ha subito cercato si smorzare i toni: nulla è già deciso, non c'è da parte nostra nessuna fretta, si tratta di un processo politico ancora da verificare con gradualità ma senza pregiudizi da nessuna parte. Un annacquamento necessario per rassicurare chi si era sentito completamente scavalcato dalle forzature dei giorni scorsi: l'intervista di Di Maio che annunciava il lieto evento, il pranzo Letta-Conte in cui si era concordato il fidanzamento europeo, le fughe in avanti del capodelegazione Benifei che assicurava che il papocchio andava quagliato entro l'anno perché «si avvicina la metà della legislatura e un momento importante per la vita delle istituzioni comunitarie», con la rielezione del presidente del Parlamento europeo, dei presidenti di commissione e di tutte le altre cariche interne.

E il Pd punta fortemente sulla rielezione di David Sassoli, come ha messo in chiaro Letta ieri nell'incontro con il Pse che ha preceduto quello con i suoi parlamentari. Nonostante la frenata del Nazareno, le critiche all'operazione e le perplessità sul connubio coi grillini non sono mancate. La stessa vicesegretaria Pd Irene Tinagli ha chiesto che non ci siano «accelerazioni né improvvisazioni» per evitare ulteriori «pasticci», visto che la faccenda è stata fin qui «comunicata male».

E anche un uomo della sinistra come Giuliano Pisapia ha messo in guardia dal giustizialismo congenito di M5s: «Tutto è possibile, e i grillini in questi anni hanno cambiato molti parametri, passando dai gilet gialli alla von der Leyen. Ma c'è un punto su cui non ho visto la minima evoluzione: lo stato di diritto e le garanzie devono essere valori fondamentali per chi entra nel Pse».

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