Ultimatum ad Autostrade. I Benetton pronti a lasciare

Vertice al ministero: nuova offerta in tre giorni o revoca. Due condizioni per l'addio. L'ipotesi dell'ingresso statale

Ultimatum ad Autostrade. I Benetton pronti a lasciare

Tre giorni di tempo per decidere il futuro di Autostrade per l'Italia (e del governo Conte): arriva ancora una fumata nera nella lunga trattativa (che ormai dura da due anni) tra l'esecutivo e la famiglia Benetton sulla revoca delle concessioni dopo il crollo del ponte Morandi di Genova.

Nel pomeriggio di ieri, dopo giorni di polemiche e veleni, le due parti si sono incontrate al ministero delle Infrastrutture: per il governo erano seduti al tavolo i capi di gabinetto di Mit e Mef, Alberto Stancanelli e Luigi Carbone, e il segretario generale di Palazzo Chigi, Roberto Chieppa, per Autostrade per l'Italia e Atlantia erano presenti gli amministratori delegati Roberto Tomasi e Carlo Bertazzo.

Dure ore di faccia a faccia senza uno sbocco. L'incontro si chiude con un ultimatum (l'ennesimo) del governo giallorosso alla famiglia Benetton: entro fine settimana dovrà essere consegnata nelle mani del presidente del Consiglio Giuseppe Conte una nuova proposta per evitare la procedura di revoca delle concessioni. Il governo ritiene insufficienti tutte le ipotesi di accordo prospettate fino ad oggi dal gruppo Benetton. Al momento, senza una proposta migliorativa la revoca delle concessioni resta la strada privilegiata. Gioca a favore dell'esecutivo la sentenza della Corte Costituzionale che ha giudicato legittima la scelta di non affidare ad Autostrade per l'Italia la ricostruzione del ponte Morandi. Al vertice di ieri il governo avrebbe chiesto ai dirigenti di Atlantia e Aspi un nuovo piano che dia risposte esaustive sul piano delle risorse compensative, su quello delle sanzioni in caso di inadempimento, sulle manutenzioni e controlli e che contempli un nuovo piano tariffario. Dal canto loro, riporta il sito del Sole24Ore, i Benetton sarebbero pronti al passo indietro» cedendo il controllo di Autostrade per l'Italia. Due le condizioni: la prima è l'aumento di capitale, la seconda è che i soggetti che faranno parte della nuova compagine azionaria abbiano le spalle larghe in termini di capacità finanziaria.

Ma sulla revoca c'è l'incognita dell'indennizzo: se lo Stato italiano decidesse risoluzione unilaterale senza attendere il verdetto di un giudice, che accerti le responsabilità, rischierebbe di sborsare un indennizzo alla famiglia Benetton di 23 miliardi di euro. Nel decreto milleproroghe, approvato a fine 2019, c'è una norma che abbassa l'indennizzo in caso di revoca alla cifra di 7 miliardi di euro. Senza un accordo, lo stop alla concessione resta l'opzione numero uno. Per il dopo si valuta il passaggio della maggioranza di Autostrade sotto il controllo dello Stato. L'ipotesi più accreditata è l'ingresso in Aspi di Cdp che verrebbe a controllare il 51% della concessionaria con Atlantia in minoranza (oggi ha l'88% di Aspi). Al loro fianco potrebbero esserci Poste Vita e alcune Casse di previdenza professionali.

Non si è discusso solo di revoca. Ma anche di cantieri e riapertura del ponte Morandi. Il governo chiede ad Autostrade di velocizzare le ispezioni nei cantieri in Liguria. Resta da sciogliere il nodo della riapertura del Morandi dopo la ricostruzione: ad oggi gestione e verifiche spetteranno alla società che fa capo alla famiglia Benetton. È una strada quasi obbligata. Al netto dei malumori in casa grillina. Il braccio di ferro tiene in panne il governo. Di ultimatum in ultimatum si va avanti. Ora Conte è arrivato al bivio: revoca o retromarcia. «Da mesi assistiamo ad un imbarazzante teatrino all'interno della maggioranza.

Anche oggi registriamo posizioni opposte: i 5 Stelle continuano a chiedere la testa dei Benetton; Renzi dice, invece, che è impossibile revocare la concessione; il Pd sta a guardare, ma il ministro De Micheli ha affidato la gestione del Ponte Morandi proprio ad Aspi», attacca Mariastella Gelmini, capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati.

E un prezzo salatissimo lo pagano i Benetton. Le tensioni pesano su Atlantia: il titolo, debole per tutta la giornata chiude in Borsa a Milano con un ribasso dell'8,2%. Una perdita pari a un miliardo di euro.

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