La moglie si era presa un pugno in faccia. Al pronto soccorso dell'Umberto I di Roma erano stati espliciti: «Vistoso ematoma con rigonfiamento dell'arcata sopraccigliare». Un referto da boxe che non è bastato: ieri il plenum del Csm salva Mario Fresa, sostituto procuratore generale della Cassazione, e boccia il suo trasferimento per incompatibilità ambientale. Finisce 9 a 8, più una pattuglia di 8 astenuti, con una spaccatura che la dice lunga sul disagio al momento del voto. Stefano Cavanna, avvocato civilista in quota Lega, va giù duro: «A questo punto è inutile che noi mandiamo un magistrato nella commissione del Senato che studierà il femminicidio. Questa vicenda ha avuto grande clamore, è finita sui giornali, appanna l'immagine della magistratura, ma noi facciamo finta di niente». E Nino Di Matteo, icona della lotta alla grande criminalità, punta il dito contro l'ipocrisia della corporazione: «Questa storia è stata archiviata sul lato penale ma i pm di Roma non dicono che i fatti non siano avvenuti».
E i fatti sono a dir poco inquietanti: la donna raggiunge il commissariato di San Vescovio il 10 marzo 2020 e qui denuncia il consorte per maltrattamenti e lesioni. Poi arrivano i camici bianchi che la visitano e notano «il vistoso ematoma con rigonfiamento». La prognosi è di sette giorni.
Imbarazzante e anche di più. I quotidiani raccontano e salta fuori un altro episodio, precedente, che era sfuggito ai radar della giustizia. Ancora, emergono le umiliazioni subite dalla signora cui il consorte rinfacciava la perdita del fascino e lo sfiorire della bellezza.
Parte l'indagine che però finisce in nulla per una serie di fattori: non vengono dimostrati i maltrattamenti che presuppongono un comportamento abituale e alla fine lei ritira anche la denuncia. Anzi, ridimensiona quel che è accaduto.
Lui si difende parlando di una scenata di gelosia e di una colluttazione degenerata per sbaglio. Fresa non è una toga nelle retrovie: «il pm femminista», lo battezza il Riformista, sempre in prima linea nel difendere con appelli e interviste le donne da offese sessiste, come nel caso di Laura Boldrini messa alla berlina da Beppe Grillo. La procura della capitale invece frena, anzi archivia e, come sostiene Di Matteo, se la cava con un «tecnicismo»: si ferma senza entrare nel merito. Ci sarebbe poi l'indagine disciplinare, ma a quanto è dato sapere la procura generale della Cassazione, ovvero lo stesso ufficio in cui lavora Fresa, non ha ancora deciso se procedere o no. E qui si tocca un altro mistero italiano, perché Giuseppe Creazzo, procuratore di Firenze, è sotto procedimento disciplinare per aver molestato una collega in ascensore: e però non ci sono denunce o referti medici, come per Fresa, ma solo le chat di Palamara, ritenute però più che sufficienti per portarlo davanti al tribunale di Palazzo dei Marescialli. Un rebus.
Ma la giustizia ha molte frecce: ecco il fascicolo per trasferimento che arriva al plenum addirittura segregato: Di Matteo riesce a rendere pubblica l'udienza e insiste sulla delicatezza della questione: «La procura generale è un organo importantissimo e fra l'altro esercita l'azione disciplinare, ma la reputazione dell'ufficio è stata macchiata e per questo dobbiamo mandare un segnale, spostando Fresa».
Un appello che cade nel vuoto. Anche se soltanto per un voto.
È con una conclusione bizantina: si dà atto che Fresa non seguirà più i procedimenti disciplinari e nemmeno si interesserà delle controversie di famiglia. Insomma, non c' è il trasferimento ma c'è una specie di trasferimento o ghettizzazione interna. Al Csm, dove gli scandali non si contano più, va bene così.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.