Fu arrestato il 5 ottobre 1982. L'hanno assolto qualche giorno fa, al termine di una saga interminabile andata avanti quasi quarantadue anni. Antonio Palladino, costruttore e gestore di alcuni locali notturni nella Milano da bere, aveva 31 anni quando finì a San Vittore per traffico di droga. Oggi, settantatreenne, diventa forse il protagonista del più lungo e rocambolesco errore giudiziario della storia italiana. Tre anni di galera e infiniti proclami di innocenza che nessuno ascoltava. «Confermo che nei prossimi giorni depositeremo l'istanza per l'ingiusta detenzione», spiega l'avvocato Matteo Cherubini che con Gaetano Pecorella è l'artefice dell'ultima sentenza, quasi miracolosa, a distanza di così tanto tempo dall'incipit della storia.
«Era il 1982 - racconta lui - avevo una bella moglie, una bella macchina, due bambini piccoli, un lavoro avviato. Mi ritrovai in cella». Gli avevano trovato meno di un grammo di cocaina. Uso personale nel clima euforico dei nightclub di rito ambrosiano di quell'epoca. Palladino si difende, giura di essere estraneo a quei traffici, ammette qualche sbandata giovanile. Ma due pentiti che parlano dalla Svizzera lo stritolano: in primo grado gli danno dieci anni, in appello la pena scende a sei anni ma resta alta. Per Palladino il futuro sembra segnato e dal carcere esce solo per decorrenza dei termini il 20 novembre 1985, dopo più di tre anni di detenzione durissima. Fra Milano, Porto Azzurro, Monza, Genova, «A San Vittore ho visto le scale sporche di sangue, Eravamo in pieno terrorismo».
Poi nell'87 la Cassazione annulla tutto: la rogatoria a Berna è stata fatta con i piedi. Non ci sono riscontri, non ci sono prove a conferma di quel che hanno detto quei due signori senza uno straccio di contraddittorio. Nulla di nulla è emerso dalle intercettazioni, dalle indagini bancarie, da tutto il contesto. Solo quello zerovirgola, inferiore al quantitativo stimato dalle tabelle ministeriali per il consumo personale. Il processo si trasforma in una giostra dove si sale e scende senza un ordine, seguendo un copione bizzarro. La Cassazione rimanda dunque le carte a Milano, in primo grado, come prevedeva il vecchio codice. E qui il meccanismo sì inceppa, per motivi misteriosi. Il fascicolo sparisce nel nulla e riemerge dopo tredici anni. Che cosa è successo fra la fine del vecchio millennio e l'inizio del nuovo? Non si sa, ma il nuovo dibattimento decolla solo nel Duemila e si conclude, in secondo grado, nel 2002: questa volta Palladino viene assolto, con la prescrizione, ma lui non ne sa nulla. Dopo aver dato prova di esasperante lentezza, lo Stato fa di peggio: sbaglia in pieno la notifica al suo avvocato. Il costruttore viene processato a sua insaputa, peccato che sia stato contattato un avvocato che non lo conosce e non sa chi sia. Insomma, l'imprenditore viene dichiarato contumace ma sulla base di una notifica nulla.
Nell'autunno del 2020 il caso spinge Palladino in tribunale. Per una questione legata alla patente: «Giravo per quei saloni, rivedevo il mio processo, poi mi sono chiesto: Che fine avrà fatto il mio processo?' Salta fuori quell'assoluzione, macchiata dalla prescrizione». Va bene ma anche no. Pecorella e Cherubini bussano in Corte d'appello, giocando la carta dell'incidente di esecuzione.
E i giudici danno ragione ai legali: la prescrizione è maturata sulla base di una contumacia che non c'era. La corte rimette in corsa un processo che era finito e poi assolve nel merito l'imputato che si era perso per strada.
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