Il senatore Bruno Astorre era un politico vero, uno di quelli che hanno assecondato una vocazione naturale e non un interesse. Tanti giornalisti, in questi anni, si sono sentiti rispondere dai dirigenti del Pd «chiedete a Bruno». Perché le decisioni finali nel Lazio - come tutto il sottobosco dem riconosceva senza tentennamenti - spettavano sempre a lui. Nato a Roma nel 1963 ma residente a Frascati, Astorre era un simbolo del centrismo-democratico. Cresciuto democristiano e popolare, Astorre ha gestito da protagonista tutto il percorso della Margherita ed è poi confluito nel Pd. La Pisana, la sede del Consiglio regionale del Lazio, è stato il suo palcoscenico principale. Autentico nativo delle istituzioni, Astorre è stato anche, se non soprattutto, uomo di partito. Fine conoscitore di ogni meccanismo, peso e contrappeso interno, era diventato segretario regionale dei dem nel 2013. Le istituzioni, dicevamo. Dopo una lunga serie di mandati nel Lazio, con un'esperienza da presidente del Consiglio e una da assessore ai Lavori pubblici, il dem, nel 2013, era stato eletto in Senato per la prima volta. E Palazzo Madama era il luogo che aveva scelto pure per questa legislatura. Un salto rispetto alle pure logiche territoriali, certo, e una decisione complessa, se non altro per via dell'esteso radicamento consensuale da tutelare.
Una vicenda ha forse segnato la vita di «Bruno» più di altre: il fatto di essere stato indagato per l'inchiesta denominata «spese pazze», per cui era stato accusato di truffa. Otto anni e più: tanto è durato il calvario, prima di una sentenza di assoluzione scolpita su pietra. Quella che risale al febbraio del 2021 e per cui «il fatto non sussiste». Egli stesso aveva spiegato la natura dell'inchiesta: «Mi contestano alcune assunzioni al consiglio regionale -aveva raccontato in un'intervista al Corriere della Sera - ma è la legge a prevedere che si scelgano i propri collaboratori su base esclusivamente fiduciaria. Rifarei daccapo quelle assunzioni». Magari proprio una di quelle «ferite dell'anima» che non erano ancora «rimarginate» citate da Goffredo Bettini nel suo lungo post di commiato. Il 3 febbraio del 2021, verso le 11 del mattino, l'esponente dem gridava via social la sua innocenza: «Assolto perché il fatto non sussiste». «Una sentenza - continuava - che arriva dopo quasi otto anni tra indagini e processo, e che dimostra pienamente la correttezza del mio operato come vice presidente del Consiglio Regionale del Lazio, tra il 2010 e il 2013». E ancora: «Un ringraziamento va all'avvocato Alicia Mejía Fritsch per le sue ponderate scelte processuali, nonché a tutte quelle persone che in questi anni non mi hanno mai fatto mancare il loro pieno sostegno».
L'ultima battaglia era stata quella per il nuovo corso della segreteria, dopo la batosta delle elezioni politiche. Lui, post-democristiano, ha sostenuto con convinzione (come del resto il suo riferimento Dario Franceschini) Elly Schlein. «Congratulazioni e buon lavoro a Elly Schlein, prima donna alla guida del Pd.
Ora tutti a lavoro, insieme, per costruire una solida alternativa a questa destra di governo», aveva cinguettato via Twitter, una volta appreso il risultato, che era stato favorevole alla sua corrente (Area dem) ma soprattutto alla sua strategia.Bruno Astorre si era sposato poco tempo fa con Francesca Sbardella, primo cittadino di Frascati. Lascia anche un figlio piccolo.
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