Usa, addio icona liberal della Corte Suprema. Rissa sulla sostituzione

I democratici: la nomina solo dopo il voto Ma Trump vuole accelerare: "Scelgo subito"

Usa, addio icona liberal della Corte Suprema. Rissa sulla sostituzione

New York. La Corte Suprema perde la sua icona liberal, innescando la corsa alla nomina del sostituto da parte di Donald Trump e complicando al contempo la campagna elettorale in vista delle presidenziali del 3 novembre. Ruth Bader Ginsburg, giudice del massimo organo giudiziario americano pioniera delle lotte per i diritti delle donne e per l'aborto, è morta a 87 anni nella sua casa di Washington dopo un decennio di lotte contro il cancro.

Soprannominata Notorious Rbg, un gioco di parole sul nome d'arte del rapper Notorious Big, che come lei era nato a Brooklyn, Ginsburg pochi giorni prima di andarsene per le complicazioni di un tumore al pancreas ha dettato alla nipote Clara un messaggio: «Spero di non essere sostituita fino a che un nuovo presidente si sarà insediato». Desiderio subito cavalcato dal candidato democratico di Usa 2020 Joe Biden: «Non c'è dubbio sul fatto che gli elettori devono scegliere il presidente e il presidente deve scegliere il giudice alla Corte Suprema» che la sostituirà, ha detto. «Ha combattuto fino alla fine con una fede incrollabile nella democrazia e nei suoi ideali», ha commentato da parte sua l'ex inquilino della Casa Bianca Barack Obama, chiedendo ai repubblicani di applicare lo stesso standard di «quattro anni e mezzo fa» dopo la morte di Antonin Scalia, «quando inventarono il principio che il Senato non poteva coprire il posto libero alla Corte Suprema prima del giuramento di un nuovo presidente». Anche il leader della minoranza dem in Senato, Chuck Schumer, sostiene che Ginsburg deve essere sostituita solo dopo le elezioni.

Di tutt'altro avviso sono i repubblicani e l'attuale presidente, il quale ha l'occasione di creare una solida maggioranza con sei giudici conservatori contro tre liberal, che può cambiare il volto dell'America per generazioni. «Siamo stati messi in questa posizione di potere per assumere decisioni per coloro che ci hanno eletto, e fra le decisioni più importanti c'è quella di scegliere giudici per la Corte Suprema, abbiamo l'obbligo di farlo senza ritardi», ha twittato Trump, che secondo i media potrebbe nominare il candidato successore nei prossimi giorni. Il Comandante in Capo ha definito Ginsburg «una donna formidabile», un «colosso della legge» che ha «ispirato gli americani e generazioni di grandi menti legali» Il tycoon potrebbe diventare il primo presidente dai tempi di Richard Nixon a nominare tre giudici della Corte in un solo mandato (i primi due sono stati Neil Gorsuch nel 2017 e Brett Kavanaugh nel 2018). Tra i papabili ci sono il senatore texano Ted Cruz e quello dell'Arkansas Tom Cotton, ma anche Amy Coney Barrett, 48enne giudice della Corte d'Appello di Chicago, considerata ad ora la favorita. Intanto il leader dei repubblicani in Senato, Mitch McConnell, ha già detto che consentirà il voto per la conferma del successore anche se mancano 50 giorni dalle presidenziali, infiammando la battaglia tra le due sponde del Potomac. Tecnicamente Trump può nominare il giudice sino alla fine del mandato e il Senato può esprimersi sino al 3 gennaio (se però McConnell perde quattro senatori Gop non ha più la maggioranza necessaria). Con un'elezione dall'esito particolarmente incerto che potrebbe richiedere il pronunciamento della Corte Suprema, come accaduto ai tempi di George W. Bush contro Al Gore, per Trump e i repubblicani si tratta di una partita cruciale. Peraltro, la nomina del successore di Ginsburg sarebbe anche un modo per inviare un messaggio agli elettori scettici del Grand Old Party: votare per il tycoon significa consolidare il potere alla Corte Suprema per anni ed avere quindi l'ultima parola su tutti i temi che contano, inclusi alcuni particolarmente cari ai conservatori come l'aborto. Ginsburg, nominata nel 1993 da Bill Clinton, è stata la seconda donna nel ruolo di giudice del massimo organo giudiziario americano dopo Sandra Day O'Connor.

Durante l'amministrazione Obama aveva respinto l'appello dei liberal a dimettersi in modo che il presidente avesse la possibilità di nominare un successore: «Ci sarà un altro presidente democratico», aveva detto lei pensando a Hillary Clinton. La vittoria di Trump, invece, l'ha costretta a resistere a oltranza.

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