Dopo lo sport, nel mirino dei nativi americani finiscono anche le auto. Da oltre 45 anni Jeep utilizza il nome Cherokee per uno dei suoi Suv, ma presto potrebbe essere costretta a un cambio radicale. Il capo della Cherokee Nation, Chuck Hoskin Jr, ha infatti chiesto al gruppo Stellantis - frutto della fusione tra Fiat-Chrysler e la francese Psa - di non usare più il nome della loro tribù per il suo famoso modello di fuoristrada. «Penso sia arrivato il momento in questo paese in cui società e squadre non utilizzino più nomi, immagini e mascotte legate ai nativi americani», ha detto Hoskin: «Sono sicuro che le intenzioni siano buone, ma non ci onora avere il nostro nome attaccato sulla targa di un'automobile». Immediata la risposta di Jeep, che in una dichiarazione ha spiegato come «i nomi dei nostri veicoli sono stati scelti con cura e coltivati nel corso degli anni per onorare e celebrare i nativi americani per la loro nobiltà, abilità e orgoglio. Siamo, più che mai, impegnati in un dialogo rispettoso e aperto con Hoskin». Il capo della tribù, tuttavia, ha fatto sapere che i nativi «non sono interessati a un accordo con la casa automobilistica che consenta loro di continuare a utilizzare il nome». Nome che, ha precisato, «non dovrebbe essere uno strumento di marketing. È parte della nostra identità e nel 2021 sembra del tutto inappropriato che una società continui a trarne profitto». Jeep ha lanciato il suo primo modello di Cherokee 4X4 nel 1974, nome poi ripreso nel 2013.
Nell'ultimo anno molte aziende americane sono state spinte ad abbandonare appellativi o simboli che facevano riferimento ai nativi americani. Dopo una serie di polemiche e accuse di razzismo, ad esempio, lo scorso luglio la squadra di football americano di Washington, i Redskins, ha deciso di abbandonare il soprannome «pellerossa» (considerato un insulto) per chiamarsi solamente Washington. Da mesi era soggetta a pressioni anche da parte dei suoi più importanti sponsor, tra cui FedEx, Pepsi e Nike.
Stesso destino per il team di baseball di Cleveland, gli Indians, che dopo oltre cento anni e 17mila partite, ha abbandonato l'appellativo «indiani», anche in questo caso criticato come razzista. Già nel 2018 gli Indians avevano tolto la mascotte «Chief Wahoo», un logo con la faccia rossa di un indiano, che i nativi avevano giudicato particolarmente offensivo. Coca-Cola, intanto, è finita al centro delle polemiche per aver promosso un corso di formazione online che esorta i suoi dipendenti a «cercare di essere meno bianchi» per combattere la discriminazione e il razzismo. Essere «less white», letteralmente, secondo la multinazionale significa «essere meno arroganti, meno sicuri, più umili e, soprattutto, smetterla con la solidarietà fra bianchi». Inoltre, si afferma che i bianchi negli Stati Uniti e in altre nazioni occidentali sono «si sentono intrinsecamente superiori perché bianchi».
L'iniziativa ha suscitato apprezzamento, ma anche parecchie critiche: l'avvocato e fondatore del Center for American Liberty Harmeet Dhillon, ad esempio, ha parlato di una «palese discriminazione razziale» verso i bianchi. In una lettera a Fox Business il gigante delle bevande ha tentato da parte sua di giustificarsi, affermando che le diapositive attribuite al corso «non fanno parte del programma di apprendimento dell'azienda».
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