Il tormentone è andato avanti per mesi: proroga sì, proroga no. Una metafora perfetta della giustizia italiana che lui tante volte ha fulminato: riforme sì, riforme no, riforme un po', un passo avanti e mezzo indietro per aggiornare la massima di Lenin sulla rivoluzione. La grande rivoluzione attesa per decenni non è mai arrivata, è arrivata invece la pensione. Carlo Nordio, tagliato il traguardo dei settant'anni e svanite le promesse del governo che aveva assicurato due anni supplementari alle toghe, si accomoda. A riposo. Addio a Venezia e alla carica di procuratore aggiunto.
Il magistrato lascia i processi ma non la ribalta. Lo chiameranno ancora per incontri, convegni, prefazioni - ne ricordiamo una mirabile ad uno strepitoso Crainquebille di Anatole France nell'edizione di Liberilibri - diagnosi televisive sui mali del settore. Da sempre, Nordio distilla le sue ricette e da sempre tutto quello che ha predicato è stato buttato nel cestino dai politici e dai colleghi. Sì, perché Nordio è uno di quei giudici - in realtà è stato per una vita pm - famosi più per la forza delle loro idee che per le inchieste condotte, pure importanti da quella sulla colonna veneta delle Brigate rosse alla tangentopoli del Mose. E il bello, il fascino di questo signore garbato dai ritmi televisivi ma dai modi d'altri tempi, è quello di aver sempre avuto un pensiero semplice e sempre controcorrente, esemplificato nei numerosi testi scritti: Nordio non è mai stato un paladino di Mani pulite, anche se nel suo Veneto ha usato la ramazza, non è stato un cultore del giustizialismo, del partito dei manettari e del girotondismo. Per questo l'hanno contrapposto ad Antonio Di Pietro instaurando un paragone rozzo se non altro perché i due parlano lingue diverse: il dipietrese è uno slang sgangherato e inimitabile, l'italiano di Nordio è quello elegante e denso di reminiscenze di chi ha macinato migliaia di pagine di letture classiche e moderne; altri hanno provato a costruire il santino della toga azzurra, sempre in contrasto con il Pool milanese. Questioni di bussola: Mani pulite smantellava il pentapartito e dava l'assalto al berlusconismo, lui in simultanea puntava i riflettori su D'Alema e il Pci-Pds.
In realtà, la cifra dell'uomo è assai più complessa e non è etichettabile, non è assimilabile e nemmeno adottabile ammesso che qualcuno ci abbia provato. Certo, l'assalto al vecchio monolite rosso, la sfida alle coop conclusa con il fallimento dell'assedio a Botteghe oscure può aver pesato sull'immagine di Nordio, ma il parallelo con gli illustri colleghi di rito ambrosiano, con i Caselli e tutti gli altri che hanno invaso le prime pagine dei quotidiani, è fuorviante. Perché Nordio non ha mai amato il messianismo di tanti magistrati da copertina, perché lui è sempre stato estraneo ai giochi di corrente della potente Associazione nazionale magistrati, oggi non a caso guidata dall'ex pm del Pool Piercamillo Davigo, e non si è mai iscritto al sindacato dei giudici. E perché nelle indagini e nelle riflessioni ha sempre cercato di coniugare principi e pratica, improntandoli al suo credo liberale. Per carità, questo termine in Italia è avvolto da una nuvola confusa e nessuno sa bene cosa voglia dire, ma per Nordio la giustizia ha sempre mostrato rigore ma mai gli artigli e il carcere è sempre stato un rimedio estremo, non lo strumento per guadagnare citazioni a caratteri cubitali e estorcere confessioni e verbalate.
Insomma, un procuratore puntuale ma non cinico, comprensivo ma non buonista e appunto fuori dal coro: ad esempio, in polemica vera con le toghe che contano e con tutte le maggioranze parlamentari, nel ripetere alla noia che contro la corruzione non servono norme sempre più severe, pene esemplari e grida manzoniane ma semmai meno leggi, meno riforme, meno tornanti dentro il labirinto della burocrazia, meno di tutto. Col risultato di essere smentito ad ogni stormir di fronda, con il diluvio di nuovi articoli, commi su commi, una numerazione latina debordante, per tenere dietro alle pulsioni dell'opinione pubblica, manovrata e inseguita dal partito dei giudici e da quello che si muove fra Montecitorio e Palazzo Madama. E con il paradosso che i codici si gonfiano sempre di più come la rana di Esopo ad ogni invocazione, ad ogni accenno alla delegificazione, alla depenalizzazione, allo sfoltimento.
Pure la Commissione per la riforma del codice penale, da lui presieduta, ha prodotto, come la successiva guidata da Giuliano Pisapia - con cui peraltro ha firmato a quattro mani il saggio In attesa di giustizia - bellissimi tomi relegati in
cassetti dove riposeranno nei secoli.Senza illusioni ma nemmeno disilluso, ora Carlo Nordio se ne va. Resta la sua lezione, da illuminista scettico, e resta lui. Campione del diritto osservato nello specchio dell'autoironia.
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