C'era una volta il Covid dop. Era «coltivato» solo in alcune zone d'Italia - si dicevano rosse - e nel resto del Paese era un prodotto quasi ignorato, che non veniva importato grazie al lockdown, alla paura, alle regole rispettate in maniera quasi svizzera.
Ma gli italiani non restano svizzeri troppo a lungo (un bene? Un male?) ed ecco la stagione del riavvicinamento, delle serate tutti insieme appassionatamente, delle vacanze che hanno rimescolato il Paese. Il risultato è stato non solo un pronunciato aumento dei contagi (sempre di più ma sempre più insignificanti da un punto di vista diagnostico) ma anche una redistribuzione geografica dei nuovi casi. Che ormai sono diffusi in modo più o meno proporzionale rispetto alla popolazione delle varie regioni.
Per dimostrarlo abbiamo fatto due conti, prendendo i dati del 12 maggio scorso (quando i nuovi contagi erano stati 1.402, a fronte di 172 decessi e di 13.817 ricoverati, dei quali 952 in terapia intensiva) e quelli di giovedì 26 agosto, simili per numeri di contagi (1.367), ma molto più rassicuranti per morti (+13) e per ricoverati (1.124, dei quali solo 69 in terapia intensiva), confrontando la distribuzione geografica dei nuovi casi.
Il 12 maggio i contagi erano una faccenda per lo più lombarda, e comunque settentrionale. La regione che gravita attorno a Milano aveva da sola 1.033 nuovi casi (il 73,68 per cento del totale) e dietro c'erano il Piemonte con 113 (l'8,06 per cento del totale), l'Emilia-Romagna con 53 (3,78) e il Veneto con 41 (2,92). Insieme le quattro regioni assommavano l'88,44 per cento dei casi totali, a fronte di una popolazione totale di 23.820.166, pari al 39,54 del totale della popolazione italiana. In pratica l'incidenza dei contagi nelle quattro regioni era 2,24 volte quella che ci si sarebbe dovuta attendere da un punto di vista statistico e nel caso della Lombardia (73,68 per cento di contagi e 16,77 per cento della popolazione) questa anomalia era ancora più pronunciata, essendo i contagi 4,39 volte più grandi. Quel giorno il Lazio, che vanta il 9,74 per cento della popolazione italiana, contò soltanto 22 casi (l'1,57 per cento del totale) e la Campania, che ospita il 9,60 per cento degli italiani, mise a referto soltanto 13 nuove positività (lo 0,93 per cento).
Insomma, cento giorni fa c'erano due Italie, o forse tre: la Lombardia, il resto del Nord e il Centro-Sud. Oggi invece tutto è statisticamente più normale. Giovedì la Lombardia ha contato 269 casi, il 19,68 per cento del totale a fronte di un 16,77 per cento di popolazione; il Lazio, secondo per popolazione (9,74 per cento) è risultato secondo anche per contagi (162 casi, l'11,85 per cento); la Campania ha il 9,60 per cento della popolazione e il 9,87 dei casi; lo stesso nelle altre regioni: Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Liguria e (guarda caso) la Sardegna hanno leggermente più casi che abitanti; Piemonte, Abruzzo e Trentino-Alto Adige hanno leggermente meno casi che abitanti. L'Umbria addirittura ha l'1,46 per cento sia dei casi che degli abitanti. Tra le regioni più piccole (Calabria, Marche e Basilicata) ci sono scostamenti più significativi tra le due percentuali, ma a fronte di numeri bassi. La Sicilia è l'unica anomalia tra le grandi regioni: il 2,41 per cento dei contagi, l'8,25 di abitanti. Forse pochi di loro vanno in vacanza nell'altra grande isola?
Che morale trarre da questi dati? È ovviamente negativo che gli italiani si siano infettati tra di loro in una grande fiesta mobile
interregionale. Ma è positivo che i casi siano ora meglio distribuiti per la penisola, dando modo ai vari sistemi sanitari di affrontare un'emergenza più o meno commisurata alle proprie forze. È il solo uno-vale-uno che ci piaccia.
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