È rrivato l'obbligo vaccinale per gli over 50 che lavorino o no. “È una misura ‘smart’ per affrontare tutti questi nuovi contagi in tempi rapidi”. A dirlo è il professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell'istituto di ricerca farmacologiche Mario Negri, commentando con noi l’ultimo provvedimento del governo Draghi che ha l’obiettivo di spingere ancora di più gli italiani a vaccinarsi.
Professore, cosa ne pensa dell’intervento dell’esecutivo sulle classi di età che sono più a rischio di ospedalizzazione?
“È una misura molto importante in questo momento. Il problema più grande che abbiamo ora è quello di non arrivare a saturare il numero dei letti negli ospedali. Dobbiamo riuscire a far fronte a tutte quelle persone che richiederanno cure intensive o meno intensive ospedaliere e questo tutelando medici e infermieri. Negli Stati Uniti, ad esempio, il numero dei letti c’è, ma esiste oggi la questione drammatica dei sanitari che si ammalano. Questa situazione la vedremo anche in Italia nel giro di due settimane. Ecco perché credo in questa misura che affronta specificatamente un rischio del genere”.
Perché, chi va in ospedale rientra per lo più tra gli over 50…
“Sì, di solito le persone che vanno in ospedale hanno più di 50 anni e sono vulnerabili, spesso con più di una patologia. Possono aver bisogno dell’ospedale e anche se hanno fatto tre dosi. La stragrande maggioranza di loro, va detto, non ha il vaccino, che è ancora un problema più grande. La prima cosa che va fatta quindi, è proteggere gli ospedali e per proteggerli occorre rendere obbligatorio il vaccino alle persone che rischiano maggiormente il ricovero. Per il resto, è inutile fare leggi che non si possono applicare. La misura di cui parliamo è giusta perché è immediatamente applicabile. Estenderla a tutti sarebbe stato impraticabile, ora come ora”.
Fino al 15 giugno scatta poi l’obbligo di Green Pass base (ottenibile con vaccinazione, guarigione o tampone negativo) per accedere alle attività di servizi alla persona come parrucchieri ed estetisti, ma anche banche per esempio e uffici pubblici. A chi polemizza dicendo che finora, in situazioni anche più gravi, non se ne era sentito il bisogno, come risponde?
“Ci sono i vaccini, ma c’è anche un numero di contagi che continua ad aumentare. In un momento come questo sono d’accordo che la malattia è probabilmente meno grave; però va fatto un ragionamento. Se lei ha un milione di malati lievi, pure se solo l’1% necessitasse di ospedalizzazione, avremmo 10.000 persone da aiutare. È una considerazione teorica però rende: una piccola percentuale su un grande numero è comunque una percentuale altissima. E il nostro sistema non reggerebbe”.
È vero che la variante Omicron appare più debole, ma che bisogna stare attenti perché esistono casi di long covid anche in soggetti con sintomi lievi? E cosa occorre fare in questo caso?
“Sulla variante Omicron non abbiamo ancora abbastanza dati per ragionare sul long covid che colpisce soprattutto i reni, il cuore e il sistema nervoso centrale. È possibile ma non è detto. In questo momento non abbiamo ancora le idee chiare su quanti ricoverati abbiano Delta e quanti Omicron. Noi, come Istituto Mario Negri, lo stiamo studiando. Se qualcuno su questa pandemia ha delle certezze non credeteci. Posso dire che mentre nella variante Delta è frequente la perdita di olfatto e gusto, nella variante Omicron succede più raramente”.
Sul piano sanitario l'attuale diffusione di una variante virale assai contagiosa e paucisintomatica sarebbe una benedizione per raggiungere l’immunità di gregge. Come ribatte a chi la pensa così, anche tra i suoi colleghi?
“Ho sempre pensato, fin dall’inizio e quindi da febbraio, che la soluzione definitiva per uscire dalla pandemia non sono i vaccini. Succederà quando la popolazione del mondo sarà immunizzata in qualche modo e il virus avrà raggiunto tutti. È quello che succede con i coronavirus più semplici e che danno dei raffreddori, mal di gola. Ci sono voluti molti anni però, questo è il limite del percorso. Se noi avessimo teoricamente una variante che si diffondesse rapidamente in tutto il mondo e nel frattempo non spuntassero nuove varianti questa potrebbe essere una direzione interessante.
Non è un ragionamento sbagliato, ma questo non significa che nel frattempo non dobbiamo più fare i vaccini, anzi. Tanto più che ora è molto chiaro che la terza dose protegge e che la terza dose dà una risposta immune importante soprattutto cellulare che potrebbe anche durare fino a 9 mesi se non di più”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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