Prima di partire per i Paesi baltici, Papa Francesco, ricevendoli in udienza, aveva raccomandato ai suoi più stretti collaboratori: «Sia chiaro che quello che firmeremo è un accordo pastorale e non politico. Per la politica c'è tempo: iniziamo col pensare ai cattolici cinesi».
E così ieri, dopo decenni di trattative e di incontri riservati tra le due potenze, c'è la stata la storica firma tra Vaticano e Cina per la nomina dei vescovi cinesi. Nonostante il testo dell'accordo non sia stato reso pubblico, dai sacri palazzi filtrano alcuni dettagli: per la scelta dei nuovi pastori, il governo di Pechino avrà voce in capitolo. Al Papa arriverà, di volta in volta, una proposta sul nome del candidato all'episcopato e il Pontefice avrà potere di veto. Al partito comunista cinese viene quindi concesso un ruolo nella nomina dei nuovi vescovi i cui profili verranno però preventivamente studiati dalla Segreteria di Stato vaticana.
Obiettivo principale è l'unita dei cattolici cinesi; sono state infatti riunificate le due chiese esistenti nell'impero celeste: quella «patriottica», nata 60 anni fa dopo la rottura delle relazioni diplomatiche con la Santa Sede e che vedeva al suo interno vescovi non nominati e non riconosciuti dal Papa, e quella clandestina in comunione con Roma. La prima mossa, subito dopo la firma dell'accordo, è stata di Bergoglio, che ha eretto una nuova diocesi e riammesso nella Chiesa cattolica romana otto vescovi patriottici.
Quello siglato tra Vaticano e Cina è comunque un accordo «provvisorio»: ieri monsignor Antoine Camilleri, «viceministro degli Esteri» della Santa Sede, ha incontrato a Pechino il suo omologo cinese per la firma dei documenti. Tutto è avvenuto però in gran segreto tanto che fino alla vigilia del vertice, il Global Times, organo semi-ufficiale del partito comunista cinese, negava che una delegazione vaticana fosse giunta in Cina per imminenti novità. Segno questo che l'accordo non piace a tutti: voci contrarie si sono levate tra i vertici del governo cinese ma anche tra le gerarchie cattoliche. Tra queste quella del cardinale Zen, arcivescovo emerito di Hong Kong, che da anni critica i negoziati tra Santa Sede e Cina, tuonando: «Il Vaticano ha svenduto la Chiesa cinese, Francesco è troppo indulgente perché non conosce la situazione». In realtà l'autore dell'accordo con l'impero celeste è il cardinale Pietro Parolin, che già sotto il pontificato di Benedetto XVI, da «viceministro degli Esteri» si era occupato del «dossier Cina» conoscendo a fondo i meccanismi della chiesa «patriottica» e dell'influenza del partito comunista.
«Con questo accordo riusciremo ad aiutare le Chiese locali affinché godano di maggiore libertà, autonomia e organizzazione» spiega Parolin, che sta lavorando con i suoi collaboratori anche alla realizzazione di un viaggio di Papa Francesco in Cina. «Si fanno passi in avanti», fanno sapere dal Vaticano.
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