Vaticano, mano tesa agli Orlandi: "Chiarire"

Il segretario di Stato Parolin: "Sorpresi dalla loro mancata collaborazione"

Pietro Orlandi
Pietro Orlandi

Parola d'ordine: «chiarire». Per il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, la Santa Sede non vuole altro che la verità sul caso Orlandi. «Lo dobbiamo alla mamma di Emanuela che soffre molto». Ieri alla Camera dei Deputati Parolin ha tenuto un incontro con i giornalisti sull'apertura dell'inchiesta della Santa Sede sulla scomparsa della 15enne cittadina vaticana il 22 giugno del 2023 e sulle accuse su Papa Wojtyla, oggi Santo, giunte come una bomba sull'intera vicenda. «Siamo molto sorpresi che non vi sia stata collaborazione - spiega Parolin -, perché questo avevano chiesto. Allora perché adesso tirarsi indietro in maniera così brusca? Non capisco... Il nostro intento è quello di arrivare veramente a chiarire». Parolin si riferisce alla convocazione in Vaticano del legale della famiglia Orlandi, l'avvocato Laura Sgrò, che ha scelto di opporre il segreto professionale.

«Ci sono state anche critiche all'iniziativa del Papa - continua Parolin riferendosi alle indagini che Papa Francesco ha voluto aprire per fare luce sul caso - L'idea della Santa Sede è di arrivare al chiarimento, vedere quello che è stato fatto nel passato sia da parte italiana che da parte vaticana e vedere se c'è qualcosa ancora che si può fare di più sempre con questo scopo. Arrivare a chiarire, lo facciamo con le migliori intenzioni». È una vecchia intervista di un giornalista, Alessandro Ambrosini ideatore del blog Notte Criminale, a un personaggio vicino a Renatino de' Pedis, Marcello Neroni, a scatenare il caso sulla figura di Papa Wojtyla negli anni della scomparsa della Orlandi. L'uomo, oggi ultra ottantenne, nel 2009 racconta delle strane passeggiate fuori dalla cittadella vaticana di Giovanni Paolo II e dell'intervento di due cappellani del carcere: «Wojtyla () pure insieme se le portava a letto, se le portava, non so dove se le portava, all'interno del Vaticano». Secondo quello che racconta Neroni, intervenne l'allora segretario di Stato Agostino Casaroli. «Essendo un esperto del carcere, perché faceva il cappellano al riformatorio (Casal Del Marmo ndr), si è rivolto ai cappellani del carcere, uno era calabrese, un certo Luigi, un altro un furbacchione, un certo padre Pietro». I due, sempre secondo il ricordo del testaccino, non fanno altro che rivolgersi a de' Pedis, il «presidente». «Gli hanno detto: sta succedendo questo, ci puoi dare una mano?».

Pietro Orlandi, nella sua deposizione davanti al promotore di giustizia Alessandro Diddi come testimone, chiede di ascoltare Ambrosini e di mettere agli atti il nastro. Cosa vuol dire Neroni quando parla dell'intervento di de' Pedis? Che il capo della banda della Magliana, poi sepolto a Sant'Apollinare assieme a papi e cardinali, per evitare uno scandalo a San Pietro fece sequestrare (e uccidere) la Orlandi come racconta la sua ex amante, Sabrina Minardi? Una storia sconvolgente quanto assurda.

A cominciare dall'autore delle «rivelazioni», Marcello Neroni, classe 1941, arrestato e poi prosciolto nella maxi operazione Colosseo, in affari con de' Pedis nel giro delle slot machine, «Con la vocazione del delatore - ricordava il giudice Otello Lupacchini -.

Neroni era un trait d'union fra il sodalizio delinquentesco e i Servizi». «Non voglio farmi bloccare - posta sui social Pietro Orlandi - dal fango che mi sta arrivando. Mi ero illuso che non esistono persone intoccabili, invece esistono eccome».

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