Le Vele di «Gomorra» tagliate pezzo per pezzo Giù a colpi di «pinza»

Un mostro edilizio concepito negli anni '60 e diventato il simbolo del malaffare dei clan

Simonetta Caminiti

Un capitolo di storia incompiuta, una simbolica utopia senza vento in poppa. Sette imponenti edifici a forma di triangolo («Le Vele», appunto): un complesso concepito negli anni 60 dall'architetto Franz Di Salvo. Gli anni dei grandi agglomerati residenziali pubblici (come il Corviale a Roma, o il Biscione a Genova) che avrebbero dovuto accompagnare, ma anche rappresentare il boom demografico e migratorio di quegli anni. Le periferie con il cuore della città. È iniziato ieri un grande abbattimento, a Scampia. Quasi silenzioso e senza scie di polvere; una ruspa ha raggiunto 52 metri di altezza con la «pinza» (ovvero un braccio potentissimo) chiamata ad annichilire le ultime Vele rimaste in piedi. Erano lì a disegnare il volto di quella comunità nata negli anni 70, ma, più concretamente, il disastro per la presa del malaffare proprio in quel simbolico territorio. Un colosso di cemento alto 45 metri, lungo 70 e largo 26 attorno al quale si sono adunati cori, applausi, brusii.

Se la Vela Verde, quarta delle sette, è stata chiamata al crollo solo ieri, le prime tre erano già state abbattute tra il 1993 e il 2005, con quintali di esplosivo. La settima e ultima, la Vela Celeste (247 appartamenti) sarà la sola a restare in piedi: ospiterà gli uffici della Città Metropolitana e, per adesso, gli abitanti della Vela Verde. Almeno finché non ci saranno i nuovi alloggi. Già trasferiti gli altri inquilini, mentre per gli occupanti abusivi (la prassi, in questo genere di periferie) non c'è asilo. Si chiama Restart Scampia, il progetto in cui confluiscono circa 107 milioni di euro tra fondi nazionali e risorse del Patto per Napoli: è gestito dal Comune di Napoli, che non ha voluto riparare né riqualificare il quartiere; la soluzione punta a un assetto urbanistico tutto nuovo.

Chi ci lavorerà? Proprio gli abitanti di quella fetta di periferia, grazie a una clausola sociale che prevede l'impiego di persone del posto.

E si è scelta una ruspa che permetta di abbattere anche la dispersione delle polveri a seguito della completa bonifica dell'edificio, con rimozione dell'amianto. Restart Scampia coinvolge anche le facoltà di Architettura e Ingegneria dell'Università Federico II di Napoli. «Qui lasciamo anche ricordi belli - dice Omero Benfanti del Comitato Vele - ma adesso proviamo un'emozione che abbiamo sulla pelle con la pinza che vince sul mostro di cemento. Le vele hanno rappresentato un marchio negativo, altri ci hanno fatto bisinìss (ovvero business, ndr) scrivendo libri su questi luoghi. Abbiamo cominciato venti anni fa, senza paura di affrontare tutto questo». Non mancano gli studenti dell'Itis Ferraris, giunti in corteo in via Labriola con uno striscione: «Scampia è nostra». «È una giornata storica per noi ha raccontato un uomo di 32 anni, chiarendo di essere nato alle Vele -. Secondo voi, una persona normale può essere contenta di vivere qui? Avevamo gli allacci abusivi per l'acqua, la luce. C'era la droga. Oggi invece questo quartiere rinasce. È rimasta solo l'etichetta delle fiction».

L'insediamento era stato congegnato per ospitare 45 mila persone: se ne insediarono 60mila prima del 1980 e, con il terremoto del 23 novembre 1980, gli abitanti erano diventati 100mila. Da qui, il degrado senza ritorno: il mercato della droga e la piazza di spaccio più grande d'Europa.

Le faide di camorra con 128 morti tra il 2004 e il 2012. L'ennesima, tragica poesia di vele nate controvento.

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