Magari saranno solo coincidenze, ma in questo confronto duro e spigoloso tra politica e magistratura che va avanti da quarant'anni non esistono coincidenze o sono davvero rare. Sta di fatto che da qualche settimana, cioè esattamente dall'inizio della campagna elettorale per le europee, le iniziative di alcune procure italiane hanno come bersaglio diretto o indiretto Forza Italia, cioè il partito più convinto dell'esigenza di una riforma della giustizia e alfiere di una proposta che va di traverso a tre quarti delle toghe italiane cioè la separazione delle carriere tra giudici e Pm. E gira che ti rigira, mettendo di mezzo Berlusconi, Dell'Utri o, in ultimo, lo scandalo che ha coinvolto la regione Liguria e che è costato gli arresti domiciliari al governatore ed ex forzista, Toti, in queste inchieste i magistrati ci ficcano sempre la mafia come il cacio sui maccheroni. Ovviamente si tratta di collegamenti tutti da verificare sul piano giudiziario, ma che intanto provocano - o puntano a provocare - alla vigilia del voto un danno d'immagine e di consenso.
Basta leggere le cronache dei giornali. Si parte sulla chiusura indagine a Firenze in cui la procura contesta, in un'iperbole di perversa fantasia, a Marcello Dell'Utri di aver preso soldi da Silvio Berlusconi in cambio del silenzio sulle stragi di mafia dei primi anni '90. Roba esclusa da diverse procure ma tirata in ballo ad ogni elezione. I magistrati fiorentini mettono in mezzo anche uno dei nomi pesanti della magistratura, Ilda Bocassini, che viene indagata per «false informazioni» per non aver rivelato il nome della fonte che nel marzo del 1994 imbeccò i cronisti di Repubblica Attilio Bolzoni e il compianto Giuseppe D'Avanzo rivelando il contenuto di un verbale del pentito Salvatore Cancemi, mai preso per buono in altre indagini, che parlava di Dell'Utri: una fuga di notizie che secondo gli inquirenti avrebbe danneggiato l'inchiesta sulle stragi di mafia. Ma non è questo quello che conta ma semmai la constatazione che anche se la Bocassini è un personaggio agli antipodi di Forza Italia, ritirare in ballo queste storie alla vigilia delle urne, finisce per nuocere innanzitutto a Forza Italia.
Non basta: puntuale come un orologio svizzero, scoppia il caso della Regione Liguria e ci va di mezzo anche il governatore Giovanni Toti, che è un nome che fa parte della storia del partito di Berlusconi, e anche in questa inchiesta compaiono due fratelli, secondo i pm liguri collettori di voti, in odor di Cosa nostra.
Ora la giustizia farà il suo corso com'è giusto, ma è quantomai ovvio rilevare che alla vigilia del voto notizie del genere finiscono per penalizzare ora e non domani proprio uno dei partiti più convinti della necessità di riformare profondamente il nostro sistema giudiziario. Più in generale le cronache raccontano che tutti i partiti che hanno in cima ai loro programmi questi temi, si parli della separazione delle carriere o della responsabilità dei magistrati, finiscono per avere dei guai: si tratti di Forza Italia o di Matteo Renzi e di Italia Viva. Gli altri come la Lega che pensa all'autonomia o come Fratelli d'Italia che punta sul premierato in questa tornata elettorale a quanto pare (ma in queste vicende non si può mai dire) sono al riparo. Ha i suoi problemi, invece, il Pd (vedi il caso Puglia) che nelle elezioni europee si gioca con i grillini il ruolo di partito egemone nell'opposizione. Ecco: c'è la sensazione, magari errata, che il fiorire di queste notizie, nei tempi e nei bersagli, risponda ad una logica mirata, per alcuni versi anche politica.
Del resto proprio l'altro ieri il profeta del giustizialismo nostrano, Marco Travaglio, si è preso la briga di contestare chi sul versante di sinistra sostiene che Silvio Berlusconi, sul piano della tolleranza, della Rai e di altro, si sia dimostrato in passato più aperto della Meloni. E proprio ieri il Foglio dava la notizia che in Rai stanno per arrivare i format prodotti da Loft, la società del quotidiano di Travaglio. Sarà un caso anche questo.
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