Da Venezia a Torino così il Covid potrebbe uccidere i caffè storici

Parte importante della cultura delle città secondo la Fipe sono tra i più penalizzati

Da Venezia a Torino così il Covid potrebbe uccidere i caffè storici

La prima rivendita di caffè italiana aprì a Venezia, in piazza San Marco, nel 1683. Una manciata d'anni dopo, siamo nel 1720, sotto le Procuratie Nuove arriva il CaffèFlorian e giaa metaSettecento si contano in citta oltre 220 abotteghe del caffe». Da qui, via Londra, Amsterdam, Vienna e Parigi, si diffonde la moda dei caffè come centri della vita mondana, artistica e culturale, frequentati da artisti, intellettuali e professionisti. Luoghi in cui, oltre alla nera bevanda, si consumavano tabacco e cioccolata e si assorbivano nuove idee e fermenti.

Se il bar sport all'italiana, macchina con leva in bella vista, tintinnare di tazzine e vociare mattiniero nato da disquisizioni sul più e sul meno arriva nel dopoguerra, la tradizione del caffè italiano è ben più antica e precede di un paio di secoli anche la nascita del mitico espresso.

Parliamo dei caffè letterari, quei circoli dove gli intellettuali si trovavano per disquisire non del rigore che si vedeva benissimo ma non l'ha visto manco il Var ma di politica e di rivoluzioni, di industrie e di commerci.

Snoccioliamo alcuni nomi perché ancora fanno bellissima mostra di sé nei centri delle nostre città, con gli arredi lucidi d'ebano e le vetrine con candide tovaglie di lino ricamate, i tavolini in marmo e i cimeli storici. Sono luoghi davvero unici: al caffè San Marco in via Cesare Battisti, fondato con ottimo tempismo nel 1914, ci possiamo immaginare ancora oggi James Joyce, intellettuale finissimo e sregolato, che dopo una nottata nei bassifondi di Trieste concepisce la prima immagine di Buck Mulligan che compare dall'alto delle scale. Uno squattrinatissimo e disperato Dino Campana vendeva i suoi Canti orfici al Caffè Paszkowski in Piazza della Repubblica a Firenze, ma forse ricorderete meglio quel film di Francesco Nuti che dalla famiglia polacca che lo aprì nel 1903 prende il nome (Caruso Paszkowski di padre polacco).

Sotto gli specchi e gli affreschi del più antico d'Italia, fondato il 29 dicembre 1720 da Floriano Francesconi, sedettero, rapiti dall'acquosa atmosfera lagunare, una serie di letterati interminabile, ma noi potendo scegliere avremmo bevuto un caffè - con madeleine avec Marcel Proust. E a Torino? Giacomo Puccini, che abitava in zona, passava spesso al Caffè Al Bicerin in Piazza della Consolata, fondato nel 1763, per sorbirsi la golosa invenzione del luogo a base di caffè, cioccolato e latte.

Un deposito unico di storie e racconti, questi non sono solo locali ma veri e propri monumenti, come li ha definiti Fipe, la Federazione italiana pubblici esercizi, che ha lanciato l'allarme: tra le attività maggiormente penalizzate dall'emergenza Covid ci sono proprio i caffè storici. Quasi sempre in centro città, vivono di un turismo che non c'è più. Tanto che è stato chiesto un fondo per sostenerli e una fiscalità dedicata.

Alcuni hanno già chiuso per sempre, come il Caffè San Carlo di Torino, luogo di incontro degli intellettuali del Risorgimento (al suo posto arriverà un ristorante) e il Gran Caffè San Marco di Firenze, fondato nel 1870.

«Questa stagione è stata un disastro conferma Raffaele Alajmo, della famiglia titolare del tre stelle Le Calandre e di vari locali tra cui il Caffè Quadri di piazza San Marco, dal 1775 frequentato dal un bel mondo che spazia da Stendhal a Woody Allen -. Nei mesi in cui abbiamo lavorato di più, luglio e agosto, abbiamo perso il 75 per cento dei fatturati». Nessuna sorpresa visto che il locale e frequentato per il 98 per cento da turisti.

«Un mondo che, quando tornerà, sarà comunque molto cambiato». Ma che, speriamo, avrà ancora il piacere di sedere a un tavolino di marmo con un libro di poesie in mano, a dialogare con la storia. Sempre che quel tavolino sia sopravvissuto al Covid.

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