I ministri Maria Stella Gelmini e Renato Brunetta, per usare un eufemismo, non sono mai stati troppo simpatici al centrosinistra. L'adesione dei due ex forzisti al «Rassemblement repubblicano» non cancella un ventennio di critiche feroci: i progressisti hanno sempre attaccato le politiche liberali di entrambi e non solo quelle. Qualcuno si ricorderà delle rumorose manifestazioni di piazza attraverso cui la sinistra tentò di bloccare la riforma della scuola targata Gelmini. Facciamo un piccolo salto all'indietro. Erano i tempi del quarto governo presieduto da Silvio Berlusconi e nel maggio 2010, in un clima di contestazione, Pier Luigi Bersani, che oggi dovrebbe gravitare attorno allo stesso «Rassemblement» dell'ex ministro dell'Istruzione, se ne usciva così: «Una figura eroica, quella degli insegnanti che sono a inseguire i disagi sociali mentre la Gelmini gli rompe i c...». L'ex esponente di Fi era diventata il simbolo di un modo di concepire una scuola diversa da quella tutelata dal monopolio ideologico della sinistra gramsciana. Il centrodestra portava avanti battaglie per il voto in condotta, per il maestro unico, per evitare che gli insegnanti di Storia saltassero a piè pari la tragedia delle foibe e così via: la Gelmini potrebbe aver archiviato tutto in nome di una non precisata «agenda repubblicana». Poi c'è stato il caso della gaffe sul tunnel tra il Cern di Ginevra ed il Gran Sasso. «Siccome non c'è naturalmente nessun tunnel fra l'Infn ad Assergi, sotto quattro chilometri di dura roccia del Gran Sasso e l'Lhc di Ginevra, che fine avrebbero fatto quei soldi? O forse questa è una delle grandi opere che questo governo di pressappochisti e venditori di illusioni vuole lanciare?», disse ai tempi Manuela Ghizzoni, dem che sedeva nella commissione Cultura, reagendo appunto a quella che, per molti, è stato un imperdonabile scivolone della politica lombarda. L'elenco sarebbe lungo ma questi pochi episodi bastano a rammentare qual è stato il rapporto tra l'emisfero «democratico» e «progressista», per usare gli aggettivi scelti da Enrico Letta per definire la compagine che guiderà alle prossime elezioni politiche, e l'attuale ministro per gli Affari regionali e per le Autonomie.
E poi c'è Renato Brunetta, per cui può valere il medesimo discorso. Anzi, fino a qualche giorno fa il centrosinistra criticava in maniera aperta il capo di dicastero per la Pubblica amministrazione: «Brunetta imbarazzo per sé e per il governo. Forse dovrebbe mettersi in proprio», ha fatto sapere di recente Tommaso Nannicini, senatore Pd, in relazione allo scambio di vedute tra il ministro ed un lavoratore che lo stava contestando. Brunetta è spesso stato bersagliato per non essere uno statalista ma nel cartellone elettorale che il Nazareno sta stilando per le Politiche del 25 settembre sembra non esserci spazio per i risentimenti (e neppure per le identità chiare).
Come dimenticarsi, infine, dell'«energumeno tascabile», ossia dell'appellativo che Massimo D'Alema utilizzò per apostrofare l'ex ministro della Funzione pubblica? Anche in quel caso si trattò di critiche mosse da uno statalista. Il centrosinistra del resto statalista lo è sempre stato. Qualcuno farebbe meglio a tenerlo a mente.
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