Riceviamo e pubblichiamo
Egregio Direttore, Le scrivo in nome e per conto dei dottori Roberto Scarpinato e Guido Lo Forte, in merito all’articolo intitolato «Venti querele dai pm, rischiamo di chiudere» a firma di Sabrina Cottone pubblicato sull'edizione del 16 aprile 2021, in cui si faceva riferimento alle querele presentate nei confronti del direttore Sansonetti, per chiarire quanto segue.
Con la prima querela, i due magistrati si dolevano di ben dieci articoli dedicati all’inchiesta cosiddetta «mafia-appalti» e pubblicati in un ristretto lasso di tempo sulla testata "Il Dubbio", ritenuti gravemente diffamatori.
La seconda querela aveva ad oggetto tre ulteriori articoli, pubblicati su "Il Riformista", nei quali il direttore Sansonetti ribadiva le medesime tesi offensive, del tutto incurante del contenuto della precedente querela di cui era da tempo a conoscenza.
Dunque, nessuna persecuzione, ma solo la risposta legittima a cui ha diritto qualunque cittadino che si ritenga colpito da una accusa lesiva della propria reputazione, tanto più se ampiamente reiterata.
A ciò si aggiunga che il dottor Scarpinato non ha mai affermato di non essere stato informato di alcuni particolari dell’inchiesta dal collega che indagava con lui.
Sostenere il contrario, come si legge nel Vostro articolo, rappresenta un fatto infondato e grave, perché getta un’ombra di discredito sui magistrati che si occuparono di quelle indagini e perché non considera che – come sa bene la giornalista - le ragioni dell’archiviazione sono analiticamente illustrate nella richiesta stessa e nelle due querele presentate contro il direttore Sansonetti.
Avv. Ettore Zanoni
Non si sa se è un record. «Siamo arrivati a venti querele tutte di magistrati» racconta Piero Sansonetti, direttore de Il Riformista. In prima pagina ha titolato: «Vogliono farci chiudere?». Lo crede davvero? «No, ma rimani solo, perché l'Ordine e i sindacati dei giornalisti si muovono subito se ad attaccare sono i politici ma con i magistrati sono molto, molto più cauti (è un eufemismo, ndr). Sono anche stato censurato». Carlo Verna, presidente dell'Ordine, dice che «il complottismo di Sansonetti sfida il ridicolo». Il giornalista replica: «Mi insulta, farò un esposto contro di lui».
La vicenda più attuale riguarda le ultime due querele, legate alle stragi di mafia del 1992, alla morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ma soprattutto al misterioso dossier mafia-appalti. Sono arrivate dal procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato e da Guido Lo Forte e sono un doppione: è la seconda volta che i due magistrati querelano Sansonetti per la medesima questione.
Oggi come allora, il giornalista aveva chiesto loro perché nel 1992 archiviarono il dossier mafia-appalti, sul quale Falcone lavorò e continuò a vigilare anche dopo il suo trasferimento a Roma al ministero della Giustizia. «Ho usato "insabbiato" al posto di "archiviato"» ammette Sansonetti, ma «è gergo giornalistico» e «chiunque sa che una querela di un magistrato ha tra le 95 e le 100 possibilità su cento di essere accolta, il valore di intimidazione è evidentissimo».
Ma che cos'è esattamente il dossier mafia-appalti? «È il dossier avviato da Falcone che ricostruisce i rapporti tra alcune grandi aziende italiane e aziende economiche di mafiosi siciliani. I Ros guidati dall'allora colonnello Mario Mori, uomo di fiducia di Dalla Chiesa che lo portò in Sicilia dove lavorò con Falcone, avevano trovato molte relazioni tra aziende del Nord e la mafia. Quando Falcone andò a Roma, Mori continuò a lavorare e lo consegnò alla Procura di Palermo».
Il susseguirsi degli eventi, per chi non lo ricorda, è incalzante: «Il 13 luglio del 1992 (la strage di Capaci è del 23 maggio, ndr) Scarpinato e Lo Forte redigono la richiesta di archiviazione del dossier. Il 14 il procuratore Giammanco convoca una riunione di sostituti e aggiunti, alla quale Scarpinato non partecipa, durante la quale Borsellino mostra grande interesse per il dossier e chiede di convocare una riunione per decidere come far proseguire le indagini. Il 19 mattina, secondo la testimonianza della moglie Agnese, Borsellino viene informato da Giammanco, allora procuratore capo a Palermo, che gli avrebbe affidato il dossier. Dopo pranzo è ucciso con la scorta in via D'Amelio. La richiesta di archiviazione viene poi depositata ufficialmente il 22 luglio».
Perché? «Scarpinato sostiene che non sapeva alcune cose di questo dossier, le più importanti, perché i pentiti non avevano informato direttamente lui, ma il pm
che indagava con lui». Oltre alla querela, resta la domanda: perché un dossier tanto caro a Falcone e Borsellino è stato archiviato ufficialmente due mesi dopo la morte di Falcone e tre giorni dopo la morte di Borsellino?
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