Ventura, il ct dell'apocalisse resta aggrappato allo stipendio

Il tecnico ribadisce: «Mai parlato di dimissioni». E punta a una transazione da 700mila euro. Il rinnovo non vale più

Ventura, il ct dell'apocalisse resta aggrappato allo stipendio

Di Cesare Prandelli ce n'è uno solo. Un minuto dopo l'eliminazione, dolorosa, dal mondiale del Brasile, estate 2014, presentò le dimissioni irrevocabili trascinandosi dietro l'allora presidente federale Giancarlo Abete. Gian Piero (s)Ventura ha illuso il popolo in lutto con un sì pronunciato a denti stretti dinanzi al pressing dell'inviato delle Iene che l'ha pedinato nel volo da Milano a Bari per poi correggere con un sms indirizzato all'agenzia Ansa lo scenario. «Mai parlato di dimissioni», la sua posizione ufficiale che certifica e tratteggia il temperamento dell'uomo. A 69 anni, con alle spalle «una carriera dignitosa, non eccelsa» (dixit Arrigo Sacchi), il ct della storia azzurra che ha lasciato la Nazionale fuori dal mondiale dopo 60 anni, non è il tipo da fare un passo indietro. Anzi, nei mesi passati e nelle ultime settimane in particolare, si è mostrato intollerante alle critiche e persino ai paragoni inevitabili. Sbottò malmostoso con chi gli ricordò l'europeo affascinante di Antonio Conte, si permise di replicare acido a una chiosa tecnica di Sacchi. Di ritorno da Solna sembra abbia avuto identica reazione con i senatori del suo gruppo che gli suggerivano un diverso schieramento. «Allora fatela voi la formazione», la brusca replica. Eppure al ritorno da Madrid, ai primi di settembre, lasciò fare allo spogliatoio una riunione tecnica dalla quale rimase fuori.

C'è stato un Ventura prima dell'incarico di ct e un Ventura dopo l'investitura azzurra. Persino Urbano Cairo, presidente del Toro e di Rcs, che pure ha tentato una disperata difesa del suo ex allenatore in granata, aprendogli gli ombrelli dei suoi giornali, ha ammesso pubblicamente ieri la sconfortante sconfitta. «Perché giocare con i lanci contro la Svezia di giganti? Non riconosco il Ventura ct, forse è più tecnico da squadra di club che da Nazionale. Sembrava un ospite», la frase. È sceso anche lui dal carro rimasto vuoto. Ai tempi di Cagliari e Bari, Pisa e Napoli, Ventura si mostrava umile e disponibile al dibattito delle idee, ai tempi di Coverciano ha tirato fuori una sicumera ingiustificata. Sono i rischi di chi diventa papa senza mai essere stato a Roma.

I fischi di San Siro, prima di Italia-Svezia, hanno sancito la bocciatura da parte di un popolo in amore che ha cantato e sostenuto la Nazionale fino all'ultimo, disperato, squinternato assalto. Ed è passato quasi inosservato l'ultimo episodio, spia dello scollamento tra staff tecnico e panchina. De Rossi, interpellato per entrare nel finale, ha declinato l'invito suggerendo il ricorso a Insigne («Dobbiamo fare gol, io che c'entro?»). «Insigne non avrebbe risolto i problemi, non dimentichiamo che arriviamo da due mondiali fallimentari», la sottolineatura di Sacchi. Verissimo: nemmeno Maradona avrebbe tirato fuori gli azzurri dai guai.

Lunedì notte, con la catastrofe davanti agli occhi, il ct ha preferito discutere con Uva (segretario) e Ulivieri (presidente dell'associazione allenatori), salutare gli azzurri uno per uno, prima di dettare le poche parole («chiedo scusa agli italiani») e rinviare l'appuntamento sul futuro al colloquio con Tavecchio. Il telefono non può allungargli la panchina, questo è scontato. Evidente lo scopo: trattare sulla parte di contratto rimasta in vigore, quello in scadenza fino a giugno 2018. Già perché il rinnovo, chiesto e ottenuto nell'estate scorsa per rinsaldare la posizione, non ha alcun valore perché legato alla qualificazione mondiale. Senza Russia, niente rinnovo automatico quindi. 700mila la cifra per una possibile transazione: toccherà a Tavecchio e al gran consiglio federale convocato per oggi accettare oppure no.

L'unica ragione del Ventura ct è nell'origine del suo mandato. Fu Lippi, promesso dt delle squadre nazionali poi uscito di scena per il conflitto d'interessi col figlio Davide procuratore, a designarlo. Fosse rimasto Marcello in federazione lo avrebbe guidato e consigliato a dovere.

Prima di Ventura altri candidati eccellenti, tipo Capello, interpellati, avevano rinunciato. La presenza della Spagna nel girone lasciava indovinare lo sviluppo successivo: spareggio come seconda e qualificazione in bilico.

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