Il vero bluff di Renzi: ha messo più tasse lui del governo Monti

I dati Istat sbugiardano il premier: prelievo fiscale passato da 700 a 712 miliardi di euro

Il vero bluff di Renzi: ha messo più tasse lui del governo Monti

L'ultima battuta di caccia al voto di Renzi si gioca al di fuori dalla riserva elettorale del centrosinistra. Il premier sa bene che il mondo Pd è quanto meno spaccato e si aggrappa a parole d'ordine care al popolo del centrodestra.

Tasse. Il pressing sulla diminuzione della pressione fiscale era stato al centro dell'intervento del presidente del Consiglio in settimana al videoforum della Stampa: «L'Economist dice che è meglio che vinca il No perché arriva un governo tecnocratico? L'ultimo è quello di Mario Monti che ha alzato le tasse». In un solo colpo Renzi così ha rispolverato il tema del presunto taglio delle tasse, agitato lo spauracchio di un «ritorno dei Monti» e rifilato un siluro all'ex premier reo di essersi schierato per il No. Il professore però gli risponde citando un dato scomodo: «È vero che in una fase di emergenza ho aumentato le tasse, l'Istat ha detto che Renzi le ha aumentate di più», ha detto intervistato su Sky da Maria Latella. Affermazione che trova riscontro nei numeri dell'Istituto di statistica. Andrea Del Monaco, analista esperto di fondi europei, ha rielaborato i dati rilevando che «con Monti nel 2013 il prelievo fiscale è stato di 700 miliardi, con Renzi nel 2015 di 712 miliardi: quindi da Monti a Renzi 12 miliardi di tasse e imposte in più». Il confronto, sostiene Del Monaco, è ancora più impietoso se confrontato all'ultimo governo di centrodestra: «Il prelievo fiscale sale dai 681 miliardi di Berlusconi nel 2011 ai 712 miliardi di Renzi nel 2015: 31 miliardi di tasse e imposte in più». Secondo Del Monaco, nonostante le sparate anti-europee di Renzi, l'Italia ha continuato con il Rottamatore ad applicare le direttive di Bruxelles sottoscritto dall'Italia con il Fiscal compact e gli altri accordi europei che reggono le fondamenta della politica dell'austerity.

Cambiamento. Ospite ieri di Barbara D'Urso a Domenica Live, Renzi ha insistito su un altro dei temi forti della propaganda per il Sì che suona sicuramente meglio alle orecchie dell'elettore di centrodestra, piuttosto che a quello di centrosinistra, sensibile soprattutto al gioco conservativo, allo sbarramento in difesa della Costituzione. «Se vince il No - ha sostenuto - questo Paese ha la stessa Costituzione di oggi cioè non funziona». E ancora: «Mi ha colpito molto una dichiarazione di Berlusconi dell'8 giugno 2006, quando disse che se gli italiani avessero votato No alla sua riforma non sarebbe cambiato nulla per anni. Me lo ricordo quel giorno perché è nata mia figlia Ester, che adesso ha dieci anni. Se ora il vince il no quando vedremo la prossima riforma, quando mia figlia avrà 20 anni?». Già, peccato che allora a votare No fosse proprio il Pd.

Burocrazia e casta.

Renzi su Canale 5 ha criticato la sentenza della Consulta che ha bocciato la sua legge sulla pubblica amministrazione e sostenuto che la riforma costituzionale «tira via 315 poltrone dal Senato, elimina i rimborsi spese dei consiglieri regionali, rende più semplice governare il Paese». Non è proprio così, ma per Renzi non è il momento di sottilizzare. Resta da vedere se gli italiani faranno altrettanto nell'urna.

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