Si attende il ripensamento (che non arriva) da parte di Nicola Zingaretti. Ma si lavora per individuare il nuovo segretario del Pd. La novità di giornata al Nazareno è il veto posto dal ministro del Lavoro e vicesegretario vicario dei dem Andrea Orlando sul nome di Roberta Pinotti come reggente del partito. Orlando vorrebbe lanciare in pista Giuseppe Provenzano, ex ministro del Sud nel governo Conte. Lasciando alla corrente area dem di Dario Franceschini la scelta del vice. La trattativa non decolla. Lo stallo resta. Al punto che circolano ipotesi suggestive come Anna Finocchiaro, Walter Veltroni e Pier Luigi Castagnetti. C'è Base Riformista che non depone le armi. Un nome di sintesi, per traghettare il partito verso il congresso, potrebbe essere quello di Piero Fassino. Si lavora a un'intesa tra le varie anime. Base Riformista, il gruppo più agguerrito contro Zingaretti, punta su una donna: Debora Serracchiani. Ma la scelta del nuovo segretario del Pd non può prescindere da un accordo tra Franceschini e Orlando: i due ministri controllano le due componenti che hanno la maggioranza (insieme a Zingaretti) nell'assemblea nazionale che si riunirà nel prossimo fine settimana.
Resta sul tavolo l'opzione di una riconferma per Zingaretti. Il pressing non si ferma: «Il gesto forte delle dimissioni del segretario Zingaretti con una lettera drammatica e cruda al tempo stesso, impone una scossa costruttiva al partito, per riportarci alla discussione sui valori su cui sono nati l'Ulivo prima e il Pd poi», spiega l'ex ministro Francesco Boccia, in diretta a Radio 24. Sulla stessa linea l'ex premier Enrico Letta, che si tira fuori dalla corsa per la segreteria: «Con sorpresa ho letto il mio nome sui giornali come possibile nuovo segretario del Pd. Quel che penso è che l'Assemblea tutta debba chiedere a Zingaretti al quale va la mia stima e amicizia, di riprendere la leadership. Peraltro io faccio un'altra vita e un altro mestiere». Graziano Delrio, capogruppo del Pd alla Camera dei Deputati, lancia dalle pagine de La Stampa un appello: «È chiaro che in questo momento così grave sarebbe meglio che Zingaretti restasse alla guida. Ma non riusciamo a convincerlo e quindi dobbiamo trovare rapidamente una soluzione che rassereni i nostri elettori».
Ma il nome che unisce non c'è. Mancano sette giorni per evitare l'ennesima resa dei conti in assemblea. Andrea Marcucci, capogruppo dei senatori, lancia una frecciatina a Zingaretti: «Non ci vergogniamo del Pd anzi ne siamo orgogliosi». Nel caso in cui non si riesca a trovare una intesa arriverebbe in soccorso lo Statuto, che concede 30 giorni dalla formalizzazione delle dimissioni per convocare l'Assemblea, che quindi potrebbe anche slittare fino ai primi di aprile.
Ma c'è un dubbio. In quest'ultimo caso chi assumerebbe la guida del partito? Il vice? E dunque Andrea Orlando, sui cui si aperto lo scontro nei giorni scorsi. Oppure Zingaretti continuerebbe a guidare il Pd da segretario dimissionario?
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