Davigo indagato. La tesi dei pm: ha convinto Storari a farsi consegnare i verbali di Amara

Due i capi d'accusa. Ascoltato chi ha avuto contatti con lui. La vicenda si intreccia con l'inchiesta aperta sul caso Eni.

Davigo indagato. La tesi dei pm: ha convinto Storari a farsi consegnare i verbali di Amara

Lo scandalo che ha investito la Procura della Repubblica di Milano trascina sul banco degli indagati l'uomo che per lunghi anni ne è stato un simbolo: Piercamillo Davigo, la mente giuridica del pool Mani Pulite, l'unico della squadra di Tangentopoli ad avere poi scalato i massimi gradi della magistratura. Davigo - come rivelato ieri mattina da Corriere della sera - è indagato dalla Procura di Brescia per rivelazione di segreto d'ufficio. Al centro dell'accusa, la vicenda che da mesi avvelena la Procura milanese, e che è sbarcata nei palazzi del potere romano: i verbali di Pietro Amara, il discusso avvocato-faccendiere siciliano, sull'esistenza di una «loggia Ungheria» affollata di magistrati, politici, alti ufficiali delle forze armate.

Da tempo si sapeva che Paolo Storari, il pm milanese che aveva raccolto i verbali di Amara e che sospettava i propri capi di volerli insabbiare, si era rivolto a Davigo - allora membro del Csm - per ottenerne l'appoggio. Storari è per questo indagato dalla Procura di Brescia per rivelazione di segreto d'ufficio. Ma ora, dalla formulazione usata dal procuratore bresciano Francesco Prete per iscrivere Davigo nel registro degli indagati, si scopre che le cose sono andate esattamente all'opposto di quanto si sapeva finora. Non è Storari a consegnare spontaneamente la minuta delle dichiarazioni di Amara a Davigo, ma al contrario è il «Dottor Sottile» a convincere il giovane collega a consegnargli le carte. Per questo Davigo nel primo capo d'accusa viene indagato per «concorso per istigazione» nel reato commesso da Storari. Poi c'è il secondo capo d'accusa, quello in cui l'autore del reato è direttamente Davigo, che nella veste di consigliere del Csm, quindi pubblico ufficiale, viene indagato per avere rivelato il contenuto dei verbali a una serie di interlocutori, tra cui il vicepresidente del Csm David Ermini e il presidente dell'Antimafia, Nicola Morra.

Tutti coloro che hanno avuto a che fare con Davigo in quei mesi sono stati interrogati dalla procura bresciana. Sul primo capo d'accusa il verbale decisivo è stato proprio quello di Storari, che - interrogato come indagato - ha detto che fu proprio Davigo a spiegargli che passandogli le carte non commetteva alcun reato, visto che il Csm è abilitato a ricevere anche atti coperti da segreto. Ma non certo brevi manu e in brutta copia. Davigo nelle sue interviste televisive ha cercato di sostenere che «per le cose importanti le modalità possono essere derogate». La procura di Brescia, a quanto pare, è di diverso avviso.

Altrettanto irrituali, e quindi inaccettabili, sono considerate dai pm di Brescia le modalità con cui Davigo, dopo essersi fatto dare le carte da Storari, le porta a Roma e le divulga. Nel mirino non ci sono le buste anonime inviate ad alcune redazioni dalla segretaria di Davigo, Marcella Contrafatto, che resta indagata da sola in un fascicolo aperto a Roma. Davigo dovrà invece rispondere degli incontri in cui ha rivelato il contenuto dei verbali di Amara a interlocutori come Nicola Morra. Morra (come pure Ermini) è stato interrogato dai pm bresciani e anche le sue dichiarazioni sono alla base della iscrizione di Davigo tra gli indagati.

Il problema ora per gli inquirenti bresciani è anche capire il senso e l'obiettivo dell'attivismo di Davigo. Le motivazioni di Storari sono chiare: il pm è indignato perché i suoi superiori gli impediscono di scavare sui verbali di Amara, che però invece usano per cercare di indirizzare a proprio favore (invano) gli esiti del processo Eni. Da questo punto di vista, cioè il gioco sporco della Procura milanese sul fronte Eni, i sospetti di Storari stanno trovando conferma: il procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e il pm Sergio Spadaro sono indagati a Brescia, e si dice che l'inchiesta stia portando a galla nuovi e rilevanti episodi.

Ma cosa spinge Davigo a irrompere nella intricata vicenda divulgando i verbali di Amara ricevuti da Storari, mettendosi in rotta di collisione con la stessa Procura di Milano dove ha lavorato per oltre vent'anni, e con il suo capo Francesco

Greco, collega di un tempo? Davigo non poteva ignorare di andarsi a infilare in un vespaio senza precedenti: e che proprio per questo era indispensabile rispettare le regole. Esattamente il contrario di quanto è avvenuto.

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