Dopo essere state stuprate, insultate, derise e filmate per quasi due anni da un gruppo di sedici giovani e giovanissimi, costrette al silenzio dalla vergogna e dal clima di omertà e di intimidazione che si respirava a Seminara, il loro paese di poco più di duemila abitanti in provincia di Reggio Calabria, due ragazzine all'epoca dei fatti minorenni hanno trovato il coraggio di denunciare i loro aguzzini, molti dei quali hanno legami di parentela con esponenti delle cosche di 'ndrangheta nella Piana di Gioia Tauro. Anche contro il volere della famiglia di una di loro, che ha cercato di ostacolare in ogni modo la decisione di parlare con gli inquirenti.
Sono sconvolgenti gli ultimi sviluppi dell'inchiesta Masnada della Procura di Palmi, dalla quale - grazie ad intercettazioni telefoniche relative ad altri fatti di un'indagine antimafia - sono emersi dettagli di stupri di gruppo ai danni delle due ragazzine. Una storia di cui tutti erano al corrente a Seminara, ma mai denunciata da nessuno. È stata una delle vittime, contattata dai magistrati che si sono trovati a seguire in diretta l'organizzazione delle violenze, a trovare nonostante tutto il coraggio di raccontare quello che era costretta a subire nel silenzio generale e a dare l'esempio all'amica.
Dopo i primi arresti scattati un anno fa, la lista dei presunti stupratori si è allungata con i nomi di tre diciottenni fatti arrestare ieri dalla Procura dei minorenni di Reggio Calabria, perché tali erano all'epoca dei fatti. Anche loro avrebbero abusato delle due ragazzine, derise e offese mentre subivano violenze di ogni genere, considerate veri e propri giocattoli dai loro stupratori, come emerso anche dai video trovati nei cellulari sequestrati nel corso della prima tranche dell'inchiesta, anche in quello del fidanzato di una delle due vittime, parte del branco. Le indagini hanno fatto emergere quanto abbia contato il potere di intimidazione esercitato, in un contesto chiuso come quello di Seminara, dal gruppetto che abusava delle due minori, di cui facevano parte anche rampolli della 'ndrangheta e figli di politici locali. Quasi impossibile in una situazione del genere, soprattutto per due ragazzine che avevano contro pure le famiglie, trovare la forza di alzare la testa e denunciare. È capitato anche che una delle due abbia dovuto far fronte all'ostilità del fratello, della sorella e dei rispettivi compagni che dopo i primi arresti, oltre a fare sparire le prove degli abusi, hanno cercato di farla ritrattare ordinandole di stare zitta e dandole della pazza, addirittura cercando di farla dichiarare incapace di intendere e di volere con una visita psichiatrica. «Volevano che andassi da uno psichiatra che certificasse la mia pazzia», ha raccontato la giovane. Le pressioni sono andate avanti finché la Procura non ha ottenuto gli arresti domiciliari per i quattro. L'ambiente che ha fatto da cornice alle violenze e le famiglie delle due vittime che avevano paura di esporsi, hanno ostacolato non poco il lavoro delle forze dell'ordine. Ma alla fine la determinazione delle due ragazzine ha consentito di inchiodare gli aguzzini. Dopo la prima ondata di arresti, un mese fa sono stati fermati altri nove giovani, fra i 21 e i 32 anni: quattro sono finiti ai domiciliari, cinque in carcere (uno ha ricevuto l'ordinanza in cella dove si trovava già per altri motivi).
Ieri i nuovi arresti, arrivati al termine delle indagini andate avanti anche grazie a intercettazioni telefoniche e ambientali con le quali, scrivono gli inquirenti, sono stati raccolti «gravi indizi di colpevolezza a carico dei tre indagati che, sia pur giovanissimi, avrebbero compiuto reiterate violenze sessuali di gruppo». I fatti contestati si riferiscono al periodo che va dal gennaio 2022 agli inizi di novembre 2023. I tre, scrive il gip nell'ordinanza, avrebbero mostrato «una personalità del tutto sganciata dalle regole del vivere civile e totalmente orientata verso il soddisfacimento dei più biechi istinti sessuali».
Avrebbero anche reclutato altri partecipanti allo stupro di gruppo e, oltre alla violenza fisica e sessuale ripetuta, avrebbero costretto la vittima «ad accettare la ripresa dei momenti del rapporto sessuale o derisa con epiteti dispregiativi».
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