Siamo nel pieno di questa «ondatina» estiva che non sembra aver ancora raggiunto il plateau. Colpa di Omicron che reinfetta anche chi il Covid l'ha già assaggiato in passato (8,4 per cento di casi in una settimana) pur non facendo troppi danni.
In tutta Italia attualmente sono spalmati tra gli ospedali «solo» 225 persone in terapia intensiva (ieri nessuna entrata) e i decessi rimangono a due cifre (+40 ieri).
E i contagi ancora non calano. Ieri 55mila, il giorno prima 56mila. Numeri importanti se si pensa che siamo in estate e la socialità è emigrata dai luoghi chiusi a quelli aperti. Qualcuno finisce ancora in ospedale (ieri 137 persone), attualmente si contano 5.342 pazienti in tutta la penisola, ma la maggior parte della gente contagiata o non si accorge di avere il Covid oppure avverte sintomi simil-influenzali e si limita a fare malattia finché il tampone diventa negativo.
È l'effetto Omicron 5. Quello che contagia peggio del morbillo ma non provoca ricadute devastanti come Alfa e Delta. Perché generalmente non tocca i polmoni. Il suo grande limite? Colpisce chiunque, i non vaccinati in modo anche pesante, i vaccinati in modo generalmente lieve e anche quelli che si sono già ammalati in passato.
Il rapporto dell'Iss conferma che aumentano le reinfezioni. Nell'ultima settimana dell'8,4 per cento, quella prima del 7,5. E sono dati sottostimati. Se ufficialmente in 10 mesi si sono contati poco più di mezzo milione di reinfettati, cioè il 4 per cento del totale, «c'è stato verosimilmente si legge nel rapporto - un forte aumento della quota di persone che hanno avuto un'infezione non notificata ai sistemi di sorveglianza per motivi legati a fenomeni di sottodiagnosi o autodiagnosi. Questo potrebbe portare alla sottostima del tasso di incidenza, e quindi del rischio relativo, ed efficacia vaccinale».
L'impennata di reinfezioni in corso, invece, è da imputare alla variante numero 5 che meglio delle precedenti scavalca le difese immunitarie mentre l'efficacia anticorpale del vaccino è scemata nel corso del tempo.
Ma con o senza sintomi, con il Covid si deve restare chiuso in casa. «L'isolamento non si discute», ha ribadito il Roberto Speranza in un'intervista che poi si rimette al buon senso degli italiani anche per l'uso della mascherina ora non più obbligatorio ma sempre utile nei posti al chiuso quando non si può garantire un'ampia distanza (vedi supermercato). Ai fragili, invece, il ministro della Salute la raccomanda sempre, per la loro tutela. Ed è a loro che a settembre andranno i primi vaccini bivalenti che arriveranno sul mercato e si potranno trovare in farmacia, dai medici di famiglia e addirittura in qualche grande hub.
Il Covid non è affatto archiviato, anzi. In un prossimo futuro, oltre a fare i richiami annuali, si dovrà combattere sempre di più anche contro gli strascichi che questa pandemia ci sta lasciando. È il LongCcovid, che colpisce almeno tre ex malati su dieci, perdura a distanza di mesi dalla fine della malattia e provoca malessere diffuso, stanchezza cronica, incapacità di concentrazione, ma anche complicanze su cuore e altri organi.
C'è molto fermento scientifico sull'argomento ed è concorde una sorta di identikit dei soggetti più a rischio di sviluppare una condizione post Covid: chi ha un'età più avanzata, il sesso femminile, chi è obeso o sovrappeso, chi ha avuto un ricovero ospedaliero (specie se in terapia intensiva) dovuto a un'infezione da Sars-CoV-2 grave, chi soffre di altre malattie (diabete, ipertensione arteriosa, asma, per esempio).
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