"Visitatori da 151 Paesi. Ecco il primo successo"

La presidente del Salone, Maria Porro: "Arrivi da ogni parte del mondo. È la risposta a questa fase di incertezza"

"Visitatori da 151 Paesi. Ecco il primo successo"

Maria Porro, presidente del Salone del Mobile, sapremo solo oggi i numeri di questa edizione. Ma qual è la sua prima sensazione?

«Intanto un numero lo possiamo già dare. E sono i 151 paesi di provenienza dei visitatori. Riconferma l'attrattività globale del Salone. Non ci sono paesi in più, ma è una conferma significativa perchè lo scenario internazionale è più complesso dell'anno scorso».

Quest'anno poi con l'incubo dei dazi americani...

«E gli Stati Uniti sono uno dei 151 paesi. Mi sembra che questa sia già una bella risposta. Ecco, il Salone è una risposta per le aziende a questa situazione di incertezza».

L'America resta uno dei mercati principali per il settore.

«Il secondo dopo la Francia. A Miami, per dire, c'è il Design District, a New York il «NoMad» che sta per «North of Madison» un quartiere con i monomarca delle aziende italiane. Alcuni hanno aperto all'inizio di quest'anno. È un paese in cui tutti noi investiamo da tempo e dove sono tanti anche gli operatori americani che lavorano con il mobile italiano».

Vuol dire che i dazi possono diventare un boomerang interno?

«Non siamo un settore enorme, si tratta di un miliardo e settecento milioni di euro quello che esportiamo negli Stati Uniti, però sono partnership costruite negli anni, lo dimostrano i tanti compratori americani che giravano tra i padiglioni in questi giorni. Il nostro poi è un settore particolare che richiede una progettazione, il montaggio in loco dei mobili, il settore post vendita... è importante che si capisca questa grande differenza con altri prodotti. Non è una cosa che si consegna in un sacchetto. Con un rischio: vediamo cosa succederà ma una volta usciti, non sarà così semplice rientrarci perché richiede tanto tempo, sforzi, investimenti. Motivo in più per cui guardare agli altri 150 paesi arrivati al Salone».

Quali sono i nuovi mercati?

«Tutta l'area del Golfo, dagli Emirati Arabi all'Arabia Saudita, c'è un grandissimo sviluppo immobiliare non avendo una produzione in loco. E il sudest asiatico».

Che Salone è stato? Come lo definirebbe in una parola?

«È stato un Salone di grande pragmatismo, senza dimenticarci del valore della poesia, della bellezza che facciamo. Per dire, c'era Sorrentino, un grande premio Oscar. Ecco, questo è il Salone, è il business e la possibilità di fare incontri straordinari. Qui c'è il cuore pulsante dell'industria italiana dell'arredo, un settore con quasi 300mila addetti, questo è un luogo di creazione di lavoro e di valore in un dialogo con tutti i paesi del mondo. Parallelamente è stato fatto un grossissimo lavoro nel programma culturale per inserire queste aziende all'interno di un contesto che renda giustizia al valore che sanno esprimere e per il visitatore un'occasione per fare business e per riflettere sulle prospettive future».

La sua formazione arriva anche dal teatro e dalla scenografia, quanto conta questo nella sua idea di Salone?

«Direi che conta di più il fatto che da bambina ho camminato tra i padiglioni della fiera vecchia e poi della fiera nuova ascoltando mio nonno, mio papà, vedendo gli stand crescere, andando in fabbrica a giocare col tranciato. Poi ho avuto la fortuna per 10 anni di lavorare nel mondo del teatro nei grandi eventi. So che il Salone si fa, perché ci sono le aziende e perché c'è una squadra che lavora un anno instancabilmente per alzare il sipario, per offrire a chi arriva un'occasione unica. Non ce ne sono altre in altro posto del mondo».

E nel futuro cosa c'è?

«Tante cose stanno cambiando, l'intelligenza artificiale sta aprendo scenari che sono ancora molto difficili da leggere. Il nostro è un settore che fa innovazione e si prende anche dei rischi. Spero che nonostante le sfide della contemporaneità, da quelle tecnologiche legate all'intelligenza artificiale a quelle commerciali legate ai mercati, sia un settore soprattutto per quanto riguarda il made in Italy che continui ad essere capace di prendersi il rischio di essere innovativo. Che il motivo per cui ci scelgono. Quell'alchimia tra artigianato e tecnologia che ci rende unici».

Ha letto paura tra gli operatori per la situazione attuale?

«Non la chiamerei paura. Siamo imprenditori, cerchiamo di capire più in fretta possibile quali sono i rischi e più in fretta possibile trovare le soluzioni. Preoccupazione quella sì, però ho letto ripeto anche il pragmatismo di non perdere un secondo, un cliente, un possibile interlocutore».

Idee per il prossimo anno?

«Tante e già messe in cantiere, le dirò anche per il 2027».

Il dialogo con Milano con la città è sempre più forte.

«Qui c'è il business, c'è il lavoro ma una città non è una location. Per restituire qualcosa, abbiamo pensato ai tremila libri che saranno donati alle biblioteche.

Poi come ci dicono le prenotazioni, per la Pietà Rondanini al Castello c'è il sold out. Finalmente i visitatori internazionali scoprono un capolavoro che forse non era così conosciuto. Questo è il potere della cultura del progetto. Ricordandoci che il motore sono le aziende che investono sul Salone».

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