Ha vissuto 30 anni da latitante, ma come fosse un uomo libero. Non sapremo mai se prima o poi si sarebbe pentito, perché è morto qualche mese dopo essere stato arrestato, ma l'ipotesi di collaborare con gli inquirenti, seppur remota, non sembrava averla esclusa a priori. «Mai dire mai», diceva Matteo Messina Denaro lo scorso 7 luglio nel primo interrogatorio dopo la cattura, depositato ieri all'udienza preliminare che vede imputata la sua amante, Laura Bonafede.
Una testimonianza a tutto campo quella del boss di Cosa Nostra catturato il 16 gennaio del 2023 in una clinica di Palermo dove si stava sottoponendo ad alcuni accertamenti per il tumore che poi lo ha ucciso il 25 settembre dello stesso anno, in cui spazia dai suoi covi («Ne avevo altri, ovvio, ma non sono scemo»), ai retroscena delle stragi («Riduttivo credere che Falcone è stato ucciso solo per il maxiprocesso»), fino alle modalità con cui venne catturato («Nessun traditore, è stato un errore dire della malattia a mia sorella»).
In un primo momento sembra chiudere con nettezza a qualsiasi ipotesi di pentimento: «Non sono il tipo di persona che vengo da lei e mi metto a parlare dell'omicidio, per rovinare a X, Y, non ha senso nel mio mondo, mi spiego?». Poi, però, fa una mezza apertura: «Nella vita mai dire mai, intendiamoci. Non è che perché dico una cosa sarà sempre quella». Ed è possibile che qui non voglia precludersi la possibilità di ottenere garanzie per i suoi cari, che ritiene siano stati pesantemente e ingiustamente penalizzati dal coinvolgimento nelle inchieste. «Ho una famiglia rovinata. Posso avere colpe personali: impiccatemi, datemi tutti gli ergastoli che volete; ma che la mia famiglia stia pagando da una vita questo tipo di rapporto con me, perché mi viene sorella o mi viene fratello? (...) Non sto facendo nessun atto di accusa ma mi avete distrutto una famiglia, rasa al suolo, case distrutte, mobili fatti a pezzettini... mia mamma è latitante o mafiosa?». Quasi un monito, il suo: «Cioè dove lo volete trovare un dialogo, quando ci sono questi comportamenti?». Il capomafia è morto prima che il discorso su un possibile pentimento potesse essere approfondito.
Messina Denaro riteneva di essere «una garanzia per tutti» in ambiente mafioso: «Non ho mai rubato niente a nessuno, non ho mai cercato di prevaricare, né in ascese di potere, né per soldi». Per 30 anni è stato uno dei criminali più ricercati al mondo, ma non si nascondeva più di tanto.
Viveva da uomo libero a Palermo, dove si curava per il tumore e libero a Campobello di Mazara. «Le mie amicizie non è che iniziano e finiscono solo nel mondo che voi considerate mafioso, le mie amicizie erano dovunque», diceva.
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