La von der Leyen placa la rivolta "I sieri creati qui restano nella Ue"

La giornata si apre con l'Austria che guida la ribellione del Centro Europa: "Sui 10 milioni di dosi Pfizer il criterio degli abitanti non va". La presidente ribadisce la clausola no export

La von der Leyen placa la rivolta "I sieri creati qui restano nella Ue"

Il vertice lungo atteso alla fine si è consumato. Sul piatto del Consiglio europeo, che si è svolto ieri, i temi trattati sono stati numerosi: dai rapporti con gli Usa, il presidente Joe Biden era presente in videoconferenza, alla politica estera della Ue, con importanti focus su Cina, Russia, Turchia e Libia. Ma l'argomento che ha impegnato tutti i leader dei Paesi membri è stato come sempre l'emergenza pandemia. Il confronto è stato subito focalizzato sui vaccini con una parola d'ordine: «Accelerare la produzione, consegna e diffusione delle dosi e avere la garanzia sulle consegne». Perché, e su questo sembrano tutti d'accordo, intensificare gli sforzi in tal senso diventa «essenziale per superare la crisi». E la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha dati i numeri, spiegando che nel secondo trimestre del 2021 l'Unione europea si attende la consegna di 360 milioni di dosi anti Covid, con la Pfizer che farà la parte del leone (200 milioni), mentre AstraZeneca ne consegnerà meno della metà previste. Poi le note dolenti: la Ue ha esportato dal dicembre scorso circa 77 milioni di dosi, mentre solo il 4,1% della popolazione europea è stato vaccinato. In questa situazione, è stato sottolineato, «le restrizioni, anche per quanto riguarda i viaggi non essenziali, devono quindi essere mantenute per il momento, mentre deve continuare a essere garantito il flusso senza ostacoli di merci e servizi all'interno del mercato unico». Una cosa sembra certa: il pass vaccinale. È opinione comune, e Bruxelles sta spingendo in questa direzione, che si debba «portare avanti con urgenza il certificato digitale di vaccinazione per permettere la libera circolazione delle persone».

Ma la giornata non è stata tranquilla. L'Austria ha subito messo le mani avanti, guidando un drappello di Paesi dell'Est, e ha contestato la ripartizione di 10 milioni di dosi Pfizer in arrivo. Il cancelliere Sebastian Kurz non era soddisfatto della distribuzione proporzionale alla popolazione che, secondo lui, ha penalizzato il suo Paese. «Quando degli Stati membri hanno a disposizione molti meno vaccini rispetto ad altri, penso che questo sia un grosso problema per l'Europa - ha detto il cancelliere - Mi spingerei addirittura a dire che, se non c'è una soluzione, ciò potrebbe causare danni all'Unione europea come non si vedono da molto tempo». I numeri dicono il contrario, ma per tutta la giornata è stata cercata una mediazione per evitare il rischio di un veto di Vienna. E alla fine tutti sono apparsi soddisfatti, almeno a parole. «Vorrei ringraziare la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, e il presidente di turno dell'Ue, Antonio Costa, che stanno lavorando a un meccanismo di compensazione», ha spiegato Kurz. «Affrontiamo la questione nello spirito della solidarietà europea al fine di non creare un'Europa con due classi di vaccinazione», ha aggiunto il capo di governo austriaco.

Da una questione quasi risolta a una irrisolta: i rapporti con Londra sull'export di vaccini. Alla vigilia del Consiglio europeo era stata diffusa una nota congiunta in cui sia il Regno Unito sia la Ue annunciavano una proficua collaborazione. Ma il braccio di ferro continua.

La presidente von der Leyen, secondo alcune indiscrezioni, ha fatto sapere ai leader dei 27 Paesi membri che Bruxelles oggi si trova in una posizione di forza. Londra, infatti, ha bisogno dell'export europeo per garantire le seconde dosi di vaccino a 26 milioni di britannici. «I vaccini prodotti nell'Unione restano nell'Unione». Conclude stoppando l'export la presidente.

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