Nell'issare Giorgia Meloni sul podio di politico dell'anno, insieme al polacco Donald Tusk, il sito Politico.eu aggiungeva un'avvertenza: per lei il 2024 sarà sul piano internazionale un anno decisivo. Il primo riferimento era all'Unione Europea: «non è un segreto», spiegava Politico, «che il Partito Popolare sta corteggiando la leader italiana con un occhio a un legame post-elettorale che potrebbe ridisegnare il panorama politico». In realtà, strettamente parlando, per l'Italia i fronti globali destinati ad aprirsi nell'anno che verrà sono due: dal primo gennaio c'è anche la presidenza del G7 che a questo turno appare particolarmente delicata per le implicazioni legate alla guerra in Ucraina.
Sarà però il palcoscenico europeo quello in cui la leader di Fratelli d'Italia dovrà dimostrare la maggiori capacità di manovra. Una necessità legata al fatto che la situazione appare più fluida che mai, legata come è ai risultati delle prossime Europee di giugno. Dopo le ipotesi di uno sfondamento a destra a livello continentale le previsioni del momento sono tornate all'insegna dello status quo. Il sito Europe Elects, che raccoglie e sondaggi e stime nei Paesi dell'Unione a fine dicembre assegna alla attuale maggioranza (Popolari, Socialisti e Renew Europe) una sostanziale tenuta con 404 seggi su 705. A destra il derby tra le formazioni di Identità e Democrazia (gruppo a cui aderisce la Lega) ed Ecr (a cui appartiene Fratelli d'Italia) vede una buona ripresa dei primi.
Sia Lega sia Fratelli d'Italia sembrano però entrambe decise a scardinare gli assetti politici consolidati. Quanto al movimento di Salvini, sin qui impegnato in una sorta di Aventino brussellese, spiccano le recenti parole del presidente della Camera Lorenzo Fontana: «Auspico che la Lega possa partecipare alla decisione sull'elezione del presidente della Commissione Ue. Mantenere i voti nel congelatore funziona poco. È importante mettersi in gioco».
Per quello che riguarda la Meloni potrebbe trarre giovamento dalla particolare struttura istituzionale della Ue. In qualità di premier fa parte del Consiglio Europeo, che da una lato è una sorta di governo ombra dell'Unione, ma dall'altra partecipa al procedimento legislativo con un ruolo non poi così dissimile da quello che il Senato ha negli Usa. Una sua partecipazione ai nuovi assetti di potere è dunque nell'ordine delle cose. E sembra suscitare l'interesse della forza guida del Parlamento, il Partito Popolare europeo. Il problema però è come questo matrimonio possa avvenire, rispettando le rispettive identità e idiosincrasie (la Meloni ha, tra l'altro, sempre detto che non si sarebbe mai schierata con un'alleanza di cui facessero parte i socialisti).
Il sito Huffington Post ha avanzato l'ipotesi di specie di intesa tecnica, in cui da posizioni diverse i voti della destra e dell'attuale maggioranza possano confluire su un presidente e un collegio di Commissari scelto di comune accordo. La soluzione avrebbe il pregio di rafforzare la posizione dei candidati italiani alla Commissione (in pole position, sempre secondo Huffington Post ci sarebbero Raffaele Fitto e Adolfo Urso). Molto, se non tutto, dipenderà dal conteggio finale dei voti di giugno.
Europa a parte, il secondo fronte della Meloni statista internazionale sarà quello, già citato, del G7. Qui il busillis (e probabilmente il business) si chiama Ucraina.
Il primo problema è mantenere la coesione e il consenso dei Paesi più avanzati sugli aiuti a Kiev e sulle misure da adottare contro l'aggressore russo (vedi il problema dei 300 miliardi di dollari congelati). Poi ci sarà da impostare la ricostruzione. L'Italia vuole che la Conferenza internazionale sul tema si svolga a Roma.
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