La controffensiva della controffensiva è più politica che militare. Putin, per non farsi cannibalizzare il Donbass dall'esercito di Kiev e dalle armi dell'Occidente, gioca la carta del referendum. Il Cremlino ha annunciato ieri una chiamata alle urne dal 23 al 27 settembre sull'annessione con la Russia nell'autoproclamata Repubblica di Lugansk, in quella di Donetsk e nella parte del territorio occupato di Zaporizhzhia (qui si voterà solo il 23). Sono le regioni su cui Putin avrebbe voluto mettere le mani nel corso di un'Operazione Speciale che si sta prolungando all'infinito, con costi spaventosi. Un referendum truccato? I filorussi del Donbass giurano sulla trasparenza e rivelano che osservatori stranieri e rappresentanti dei media accreditati potranno assistere come osservatori. Intanto però la borsa di Mosca reagisce malissimo, perdendo quasi il 9%.
Lo zar di Mosca - che rinvia a oggi il discorso annunciato - non perde tuttavia di vista la componente militare: ieri la Duma, la camera bassa del Parlamento, ha approvato un pacchetto di emendamenti al codice penale che prevedono il rafforzamento delle pene in caso di legge marziale, mobilitazione, tempi di guerra e conflitto armato. Mosca alza anche il muro nei confronti dei disertori: per la renitenza alla leva è prevista una pena fino a dieci anni di reclusione. Putin attende solo lo scontato parere favorevole (previsto oggi) del Consiglio della Federazione, il Senato Russo, poi promulgherà le nuove misure.
Kiev ha commentato le contromisure di Mosca affidandosi alle parole di Andriy Yermak, capo dell'ufficio del presidente Zelensky: «Il referendum e le mobilitazioni hanno la puzza del ricatto perpetrato da chi sa combattere solo contro bambini e persone pacifiche. Ecco come appare la paura della sconfitta. Il nemico è terrorizzato, manipola primitivamente. L'Ucraina risolverà la questione russa. La minaccia può essere eliminata solo con la forza». Un fondo di paura esiste davvero, soprattutto da quando ieri le truppe del generale Zaluzhnyi hanno riconquistato un villaggio vicino alla città orientale di Lysychansk (Lugansk). Una vittoria simbolica perché dimostra che la Russia non ha più il controllo totale della regione.
Il presidente turco Erdogan, da mesi impegnato nell'allestire un tavolo di trattative tra i contendenti, ritiene la mossa di Putin tutt'altro che insensata. Reduce dall'incontro con il leader del Cremlino in Uzbekistan, e da una lunga telefonata con Zelensky, è convinto che Mosca voglia porre fine alle ostilità il prima possibile anche attraverso il voto. «Questa è stata la mia impressione, perché il modo in cui si stanno svolgendo le cose ora è piuttosto problematico. Diventerà molto importante la restituzione dei territori oggetto dell'invasione. Penso che sarà un modo per fare un passo avanti significativo».
Non la pensa allo stesso modo il segretario Onu Guterres che all'Assemblea generale parla ai leader di «mondo in grave pericolo» e di «tempesta perfetta. Dobbiamo continuare a lavorare per la pace prima che sia troppo tardi».
Allineata a Putin è la sua cassa di risonanza umanizzata Dmitri Medvedev. Su Telegram il vicepresidente del Consiglio di sicurezza ritiene i referendum nel Donbass «di grande importanza non solo per la protezione sistemica dei residenti della Repubblica del Lugansk e del Donetsk e di altri territori liberati, ma anche per il ripristino della giustizia storica». E aggiunge col solito piglio belligerante: «L'invasione del territorio della Russia è un crimine che consente l'uso di tutte le forze di autodifesa».
E se per il cancelliere tedesco Scholz e il capo della sicurezza nazionale Usa Sullivan i referendum raffigurano «una farsa vergognosa», per il francese Macron «è un pericoloso ritorno all'imperialismo», mentre
per il segretario della Nato Stoltenberg «questa è un'ulteriore escalation ideata da Putin. La comunità internazionale deve condannare la palese violazione del diritto internazionale e rafforzare il sostegno all'Ucraina».
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