Al voto l'Iran sfiduciato e in crisi economica. Tra Jalili e Ghalibaf è una sfida tra oltranzisti

Pioggia di ritiri, tra i riformisti solo Pezeshkian resta in corsa con poche speranze (e le minacce dell'ayatollah Khamenei)

Al voto l'Iran sfiduciato e in crisi economica. Tra Jalili e Ghalibaf è una sfida tra oltranzisti
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Dieci anni fa gli iraniani speravano in un accordo sul nucleare che avrebbe aperto la Repubblica islamica al resto del mondo. Oggi si trovano ad affrontare il peso dell'inflazione, la crisi economica, pesanti sanzioni e un Medioriente in fiamme, con la guerra di Israele a Gaza e il primo attacco diretto di Teheran contro lo Stato ebraico in aprile. Il regime degli Ayatollah ora arricchisce pure l'uranio a livelli quasi nucleari e ne ha abbastanza per produrre diverse armi. È in questo clima che si va a votare per le presidenziali, con scarse aspettative. Le candidature selezionate dal Consiglio dei guardiani, così come il diffuso malcontento per la repressione nei confronti delle donne a causa delle proteste contro il velo obbligatorio, hanno spinto molti verso l'astensione.

Due candidati si sono già ritirati dalla corsa, in un tentativo degli estremisti di coalizzarsi attorno a un candidato unico per sostituire il defunto presidente Ebrahim Raisi. Il primo ad abbandonare la gara è Amirhossein Ghazizadeh Hashemi, 53 anni che ha esortato gli altri concorrenti a fare lo stesso «in modo che il fronte della rivoluzione venga rafforzato». Hashemi è stato uno dei vicepresidenti di Raisi e capo della Fondazione dei martiri. Si è candidato alle elezioni presidenziali del 2021 e ha ricevuto circa un milione di voti, arrivando all'ultimo posto.

Ma anche il sindaco di Teheran Ali Reza Zakani ha rinunciato alla competizione, come aveva fatto in precedenza nelle elezioni del 2021 in cui Raisi era stato eletto. Zakani ha dichiarato di essersi ritirato per «bloccare la formazione di una terzo blocco» dell'ex presidente Hassan Rohani, riferendosi al candidato riformista Masoud Pezeshkian. Pezeshkian si candida anche con il sostegno dell'ex ministro degli esteri Mohammad Javad Zarif, che sotto Rohani ha raggiunto l'accordo sul nucleare del 2015 con le potenze mondiali. Tali ritiri sono comuni nelle ultime ore dalle elezioni. Gli analisti a questo punto vedono la gara però come una competizione a tre. Due sostenitori della linea dura, l'ex negoziatore nucleare Saeed Jalili e il presidente del Parlamento Mohammad Bagher Ghalibaf, stanno concorrendo nello stesso blocco. Ghalibaf è stato anche ex comandante dell'aeronautica dei Pasdaran, ex sindaco di Teheran e prima ancora capo della polizia. Poi c'è Pezeshkian, cardiochirurgo, vicino pure a un altro riformista come l'ex presidente Mohammad Khatami e a coloro che guidarono la protesta del Movimento Verde del 2009.

In realtà ci si aspettava che o Jalili o Ghalibaf si ritirasse a sostegno dell'altro. Entrambi sono ritenuti i favoriti. E' intervenuto pure il leader supremo Ali Khamenei che ha lanciato un velato avvertimento proprio a Pezeshkian: chiunque creda che «tutti i modi per progredire» provengano dagli Stati Uniti non dovrebbe essere sostenuto.

Khamenei ha anche chiesto la «massima» affluenza alle urne, che potrebbe favorire proprio Pezeshkian. Secondo alcuni analisti a Pezeshkian sarebbe stato concesso di partecipare al voto in realtà soprattutto per invogliare gli iraniani ad andare ai seggi.

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