O l'Italia o niente, è stato sin dall'inizio per la Ong tedesca Sea Watch, che attendeva l'autorizzazione a far sbarcare a Lampedusa 42 immigrati raccolti in mare due settimane fa, pur consapevole che l'Italia non avrebbe mai dato il suo placet, se non costretta. La Libia no perché non è un porto sicuro - e la Ong tedesca ha ricevuto supporto in questa decisione dalla Commissione europea e da varie agenzie delle Nazioni unite - la Tunisia nemmeno a pensarci «perché non ha una normativa ad hoc che tutela i rifugiati», Malta dice no e va tutto bene, la Ong ne prende semplicemente atto, ma non il diniego allo sbarco da parte dell'Italia. Quello non va proprio giù. E allora la Sea Watch punta i piedi, fa la voce grossa, ricorre alle vie legali (il Tar del Lazio che sulla liceità del divieto di ingresso, transito e sosta in acque italiane, suffragato dal decreto Sicurezza bis, dà ragione al Viminale) e, nel frattempo, invece di far rotta verso l'Olanda, che ha concesso la bandiera alla nave, o verso qualunque altro Paese dell'Unione europea, ha ciondolato per giorni davanti a Lampedusa, restando sul limitare delle acque nazionali.
Il capitano della nave, la 31enne Carola Rackete, aveva fatto sapere che dopo la decisione della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, cui si sono rivolti i migranti, avrebbe fatto ingresso in porto a Lampedusa, col placet della legge o senza. La Corte ha respinto il ricorso e si attende di vedere se la Ong mostrerà coerenza. «La Corte ha confermato la scelta di ordine, buon senso, legalità e giustizia dell'Italia: porti chiusi ai trafficanti di esseri umani e ai loro complici. Meno partenze, meno sbarchi, meno morti, meno sprechi. Indietro non si torna» ha commentato il ministro dell'Interno Matteo Salvini, che ha anche detto che «l'Italia non si fa dettare la linea da una Ong che non rispetta le regole».
Emblema di una sinistra che ha dato il via alla trasmigrazione dell'intera Africa in Italia in nome dell'accoglienza di tutti e a tutti i costi, paradossalmente a rivolgersi a Berlino perché il governo tedesco si adoperasse a trovare un soluzione condivisa e stabile sul piano europeo, è stata Laura Boldrini, «tenendo conto della grave situazione di conflitto che investe la Libia, nel rispetto della Convenzione di Ginevra del 1951 e del diritto europeo e di quello internazionale».
C'è stato anche l'appello dei passeggeri della Sea Watch 3, che si sentono come «in prigione» in una «barca piccola» dove «manca tutto» e non possono «fare niente». In un video postato dalla Ong sulla pagina Facebook del forum «Lampedusa solidale», uno dei migranti definisce se stesso e i compagni di viaggio «stanchi, esausti e stremati». Ha risposto Libera che, con #Restiamoumani #Incontriamoci, ha organizzato una manifestazione a Catania per chiedere lo sbarco immediato a Lampedusa dei 42 migranti della Sea Watch 3, «costretti da oltre due settimane a rimanere bloccati in mare. Fateli scendere ora! Noi, insieme a molte altre reti e associazioni in tutta Italia, diciamo basta alla disumanità del governo italiano».
Evidentemente né la Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo ritiene che ci sia disumanità da parte dell'Italia che ha concesso lo sbarco a chi ne aveva
necessità per questioni di salute e ha offerto l'assistenza necessaria né tantomeno la Sea Watch, che, pur appellandosi anch'essa alla disumanità italiana, riteneva l'Italia l'unico porto sicuro in cui potere attraccare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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