Il Weinstein inglese e lo scontro tra giustizia e politica

Il tycoon contro il parlamentare che ha fatto il suo nome. Polemica anche per i silenzi delle top model

Il Weinstein inglese e lo scontro tra giustizia e politica

Aggredisce il cameraman al fianco del giornalista di Sky News che lo ha raggiunto nel suo ranch da due milioni e mezzo di euro a Tucson (Arizona), negli Stati Uniti dove si è rifugiato da quando lo scandalo è esploso. Nega «categoricamente tutte le accuse» di abusi sessuali e razziali per i quali è stato ormai ribattezzato il «Weinstein di Gran Bretagna». E passa al contrattacco, ora che è nell'occhio del ciclone come l'uomo più chiacchierato del Regno Unito, annunciando che presenterà denuncia formale a Westminster contro il parlamentare Lord Hain, che ha reso pubblico il suo nome, avvalendosi dell'immunità, ma lavora come consigliere per lo studio legale a cui si è affidato il quotidiano Daily Telegraph che per primo ha denunciato lo scandalo. Nel frattempo nuovi particolari emergono su Philip Green, 66 anni, il miliardario e presidente di Arcadia, gruppo leader delle vendite al dettaglio (detiene marchi come Miss Selfridge, Topshop, Dorothy Perkins) che giovedì è stato indicato come protagonista di un nuovo scandalo #metoo in salsa british. Il «re dello shopping», che nel 2006 l'ex premier Tony Blair nominò «cavaliere» e il successore David Cameron «consigliere di governo» (dopo le consistenti donazioni al Partito conservatore), avrebbe pagato cifre a sei zeri per far tacere le vittime, somme fra le più alte mai sborsate per casi di molestie sessuali. Il suo nome è emerso nonostante la Corte d'appello abbia intimato il quotidiano di non pubblicarne le generalità, per rispettare il diritto alla riservatezza di Green, che con le presunte vittime di molestie sessuali e razziali avrebbe concluso almeno cinque accordi di non-divulgazione. Un braccio di ferro fra politica e giustizia, con molti avvocati che difendono il diritto alla privacy sancito dai non-disclosure agreements mentre il #metoo li addita come strumento di insabbiamento per i molestatori.

Fra le denunce pubbliche spunta ora anche quella della Baronessa Ros Altmann, ex sottosegretario al Lavoro (Cameron e May), che racconta di essere stata «bullizzata» dall'uomo d'affari nel 2016, per la vicenda dei grandi magazzini Bhs, finiti in bancarotta dopo una gestione scellerata da parte del tycoon (571 milioni di buco nel fondo pensioni) e una cessione opaca che lasciò 11mila persone senza lavoro e lui additato come «la faccia sporca del capitalismo». «Era furibondo per essere finito sotto inchiesta. Mi mandava messaggi la notte e anche alle 5 del mattino, usava toni minacciosi sperando che intervenissi per aiutarlo», racconta la baronessa. La denuncia si somma alle testimonianze di sette dipendenti (non è certo siano gli stessi dietro agli accordi di riservatezza) che riferiscono di abitudini consolidate del boss dello shopping: «Entrava in stanza senza annunciarsi, chiedeva alle donne presenti se fossero state capricciose e avessero bisogno di qualche sculacciata. Uno standard». Poi abbracci invadenti e morbosi tanto che le dipendenti si erano passate la voce: «Mai entrare con lui in ascensore». A chi chiedeva di non essere chiamata «tesoro», «una volta urlò di andare a quel paese», ricorda un'altra testimone. Poi gli insulti: «Dava dello stupido/a a chiunque in riunione. Ce l'aveva soprattutto con i grassi e i neri».

Sir Green frequentava la crema delle top model, da Naomi Campbell a

Kate Moss a Cara Delevingne, queste ultime testimonial di Topshop e accusate - come nel caso Weinstein - di non aver ancora detto una parola sullo scandalo, alimentando quel clima di omertà che finora avrebbe protetto Green.

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