"Da Wojtyla a don Giussani i retroscena del Meeting". Intervista a Roberto Formigoni

Martedì si apre a Rimini l'evento di Cl. E il fondatore rievoca: "I consigli di Andreotti e Berlusconi"

"Da Wojtyla a don Giussani i retroscena del Meeting". Intervista a Roberto Formigoni

Martedì si apre a Rimini la quarantacinquesima edizione del meeting dell'amicizia, cioè la festa nazionale di Comunione e Liberazione. Fu Roberto Formigoni, 77 anni, lombardo, a inventare il Meeting nel 1980, quando era presidente del Movimento Popolare, espressione politica di Comunione e Liberazione.

Presidente, una volta era il meeting ad aprire la stagione politica. Ora la stagione non inizia e non finisce mai: vive coi post sui social

«Già. Non so se è un vantaggio. Una volta c'era anche un modo diverso di stare in politica e di entrare in politica. C'era un periodo molto lungo di preparazione. La formazione alla politica era una cosa seria. E perciò anche la politica lo era. Non era un tweet».

Lei quando è entrato in politica?

«Nel 1984 in modo formale, con l'elezione al Parlamento europeo. Ma prima avevo fatto un lungo corso di formazione dentro un movimento che era il movimento popolare».

Quanto durò la militanza nel movimento?

«Beh, ho iniziato da ragazzino. A scuola. Sono stato presidente del Movimento Popolare dal 75 all'84: nove anni di lavoro e di studio e di pratica. Migliaia di giovani impararono la politica militando nel movimento».

Oggi?

«Si entra in politica senza nessuna preparazione».

Questo ha cambiato le cose?

«Sì. Una volta ti insegnavano che si fa politica per il bene comune. Oggi molto spesso si fa politica solo per inseguire un successo personale».

Al meeting chi era il più acclamato?

«Un nome? Il primo in classifica per grande distacco: Giovanni Paolo II nel 1982. Era la terza edizione del meeting».

Fu difficile farlo venire?

«No, Per niente. Chiese lui di venire».

E fece un gran discorso?

«Grandissimo».

Mi cita un brano del discorso: Costruite la civiltà della solidarietà, della verità e dell'amore. Questo è il compito che io vi lascio.

Uno slogan?

«Molto di più, una prospettiva di futuro secondo me attualissima».

In principio era il verbo e il verbo era don Giussani. Si ricorda di quando l'ha incontrato?

«Io ero di Lecco. Don Giussani a Milano. A Gioventù Studentesca, che poi diventò CL, mi ci portò un mio amico, quando andavo al liceo. Lui aveva cinque anni più di me. Si chiamava Angelo Scola».

Il futuro cardinale e candidato Papa?

«Sì. È lui che mi ha fatto conoscere il movimento. Giussani l'ho conosciuto più tardi, quando mi sono iscritto all'Università. A Milano. Gius (lo chiamavamo così ) incarnava tutto quello che Scola mi aveva detto».

Un prete

«No, era un uomo. Un uomo appassionato di tutto: della storia, della cultura, della scienza, della religione. Ed era appassionato di te. Era l'Incarnazione di Comunione e liberazione».

Una cosa che le è rimasta di lui?

«Quando mi chiesero di fare il presidente del movimento popolare andai da don Giussani e gli dissi: Io non me la sento. Mi rispose: Roberto, tu sei come una bottiglia di champagne. Chiusa. Ora facciamo saltare il tappo».

Saltò?

«Saltò...»

Eri giovane? (scusa, son passata al tu)

«Vent'anni. Dammi pure del tu. Noi eravamo abituati ad un cristianesimo oppressivo. Riti, doveri, cerimonie, obbedienza. Lui ci ha presentato un cristianesimo completamente diverso. Ci ha detto: dovete andare nel mondo, incontrare l'umanità e poi incontrare Cristo, il più grande uomo mai esistito».

Tu lo conoscevi Moro?

«L'ho conosciuto. Era una persona tormentata. Lui voleva bene all'Italia. Il suo cristianesimo era vero. Ci credeva».

Da Andreotti hai imparato molte cose?

«Andreotti a 25 anni era sottosegretario di De Gasperi. Sapeva di tutto. Di diritto, di filosofia, di morale. Sulla politica estera era il numero 1 al mondo. Mi ha insegnato che la politica è non essere presuntuosi. Mi consigliò di evitare l'invidia per chi c'è vicino. Fari bassi, Roberto, fari bassi. Se realizzi qualcosa non è merito tuo è merito del partito».

Era cinico?

«Macché! Sapeva ridere, sapeva fare le battute. Era molto ironico. Che c'entra col cinismo?».

Comunione e Liberazione: più ideali o politica-politica?

«Ideali-ideali. Così ci ha detto Giussani».

Un incidente diplomatico creato da voi?

«Quando scoppiò la guerra con Saddam nel 1990. C'erano migliaia di europei prigionieri. I tedeschi, i francesi, gli spagnoli, tutti andarono a liberare i loro. Noi no. Io ero vicepresidente del parlamento europeo: protestai. Niente. Allora partii io senza chiedere a nessuno. Tornai a casa con 400 italiani. E non vollero far vedere che io arrivavo. De Michelis mandò un Jumbo a prenderci. Ci aspettava una folla di giornalisti. Gli dissero: arriva a Ciampino. Ma a Ciampino non c'era la pista per i Jumbo. Noi arrivammo a Fiumicino. C'era un sottosegretario Dc ad aspettarmi. Solo lui. Lo riempii di improperi».

Cosa è stato per te Berlusconi?

«Un grandissimo amico. L'ho conosciuto molto prima che fondasse Forza Italia. Mi telefonò».

Che ti disse?

«Mi disse: Io sono Berlusconi, il più grande imprenditore italiano. Tu sei quello che ha avuto un incredibile successo alle elezioni europee. Dobbiamo incontrarci».

E tu?

«Andai ad Arcore».

Tu sei stato in carcere. Parlami del carcere.

«Ho visto la sofferenza dei carcerati. La fatica della polizia carceraria. Finalmente se ne parla. Bisogna fare in modo che le carceri diventino luoghi di formazione non di punizione».

Si stanno facendo dei passi avanti.

«Passi. Sì. Poi si deve andare oltre».

Levami una curiosità: il voto di castità lo hai rispettato?

«Non chiedermi se mai ho peccato. Io ho peccato molto e ne chiedo perdono a Dio».

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