Della nuova variante Xe si comincia ad avere un quadro leggermente più dettagliato ma il suo tracciamento è difficile, in partenza. Si sa che è un incrocio tra la Omicron 1 e la Omicron 2, che non è grave come la variante Delta, e che è sorvegliata speciale perchè pare essere più contagiosa del 10%: vale a dire che una persona positiva può infettarne altre 22. Anche per questo il Governo è cauto. Non sapendo quale sarà l'evoluzione delle varianti, il sottosegretario alla Salute Andrea Costa ribadisce che dal primo maggio non ci sarà più l'obbligo di green pass ma le mascherine andranno ancora portate al chiuso.
La corsa contro il tempo nei laboratori non si limita solo a Xe: insieme a lei, altre «chimere» sono osservate speciali, varianti che mixano pezzi di una e dell'altra, in alcuni casi anche Omicron e Delta, e che continuano ad emergere. Succede e può succedere ancora perché «abbiamo a che fare con un bersaglio mobile» spiega Alberto Mantovani, presidente della Fondazione Humanitas per la Ricerca e direttore scientifico Humanitas. «E quindi dobbiamo da una parte inseguire il bersaglio, non c'è dubbio. Ma dobbiamo anche fare il possibile per evitare la nascita delle varianti, e qui entra in gioco l'importanza della condivisione dei vaccini - sottolinea - perché le varianti che ci hanno davvero preoccupato sono sempre nate in Paesi a basso reddito. Altro punto: speriamo di avere strumenti che giochino d'anticipo, usando un termine calcistico».
L'identikit di Xe è, giorno dopo giorno, più completo ma resta il problema dei tamponi, che ancora non la rilevano dato che non presenta la «delezione del gene S» caratteristica di Omicron 1. In altre parole: si capisce che si è positivi, ma non da quale variante si è stati colpiti. Da qui le difficoltà sul tracciamento. La mancanza del gene S permetteva invece di sospettare l'appartenenza di un campione alla variante Omicron del tipo «classico» direttamente dal tampone (senza sequenziamento, che viene fatto successivamente).
In realtà non sappiamo ancora se a Xe manchi il gene S. «Xe sarà ritenuta parte della grande famiglia della variante Omicron fino al momento in cui non saranno riportate differenze significative nella trasmissione e nelle caratteristiche della malattia, inclusa la gravità» fa sapere l'Oms, ben consapevole del fatto che il rischio che emergano nuove varianti, comprese quelle ricombinanti, sia molto elevato. Per questo desta qualche preoccupazione il calo delle sequenze depositate su Gisaid: erano più di 284mila nella prima settimana dell'anno, per scendere a 65mila nelle ultime settimane di febbraio.
In Italia una nuova indagine rapida dell'Istituto superiore di sanità esaminerà tramite sequenziamento genomico i campioni raccolti il 4 aprile per stimare la prevalenza delle varianti circolanti. «Dai primi dati che abbiamo, chi ha tre dosi di vaccino è protetto dalla malattia grave ma può infettarsi» spiega Annamaria Cattelan, primario di Malattie infettive all'azienda ospedaliera di Padova. Intanto è ormai completo il quadro su Omicron: in base allo studio condotto da Cristina Menni del King's college di Londra, i sintomi durano 7 giorni, due in meno rispetto a quelli causati dalla variante Delta.
Con Omicron la perdita di olfatto è quasi il doppio meno frequente e si presenta solo nel 17% dei positivi, contro il 53% dei pazienti con Delta. Mal di gola e raucedine sono rispettivamente il 55% e il 24% più frequenti con Omicron. I pazienti con Omicron sono anche il 25% meno a rischio di ricovero rispetto a Delta.
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