La chiave di tutto è Xi Jinping. Il suo nome basta a farci capire quanto il Foro Economico Mondiale di Davos, al via oggi in versione virtuale causa Covid, sia soltanto un ristretto ed elitario conciliabolo incapace d'interpretare la realtà internazionale e tanto meno d'indicare ricette per sanarne le disfunzioni. Il presidente cinese, che nel 2017 fa approfittò dell'apatia e del conformismo dell'ottuso gotha per spacciarsi come il campione del libero commercio, torna oggi ad aprire gli incontri on-line del Forum. La scelta la dice lunga sulla capacità del presidente esecutivo Klaus Schwab e dei suoi ospiti di comprendere le dinamiche globali. In questi cinque anni il presidente cinese, chiamato ad aprire l'edizione 2022 assieme al premier indiano Narendra Modi, si è distinto non solo per averci regalato il Covid nascondendone la gravità, ma anche per aver contribuito a molti dei dissesti globali analizzati dal Forum. A partire dalle drammatiche carenze di dispositivi medici basilari - come mascherine, guanti e disinfettanti - che contrassegnarono l'inizio pandemia. Carenze figlie di quella globalizzazione economica elogiata nell'edizione 2017 da Xi Jinping e stolidamente applaudita da un'elite di Davos preoccupatissima, al tempo, per la goffaggine politica di Donald Trump, ma cieca rispetto alla minaccia globale rappresentata da Pechino. Una minaccia compresa solo tre anni dopo, quando il trasferimento in Cina della produzione di dispositivi medici basilari si tradusse, a conti fatti, non in un risparmio, ma in una totale dipendenza politico-sanitaria nel momento del massimo bisogno. Il tutto mentre a maggio del 2020, quando ancora Pechino lesinava le informazioni sul Covid, l'operazione Warp Speed voluta dal «cattivo» Trump destinava 18 miliardi di dollari alla produzione dei futuri vaccini.
Ma le responsabilità del riverito ospite Xi Jinping non si fermano certo lì. Per capirlo basta esaminare l'elenco delle «sfide globali» che stando al «Global Risks Report» (Rapporto rischi globali) elaborato dal Forum sono esiziali per i destini del pianeta. Al primo posto non c'è la pandemia, ma quel rischio climatico su cui bisognerebbe porre non poche domande a un Xi Jinping, presidente del più spregiudicato e incorreggibile inquinatore del pianeta. E anche volendo individuare i responsabili delle dispute geopolitiche sulle risorse naturali, indicate dal «Global Risks Report» come la più grande minaccia alla stabilità nel lungo periodo, il principale indiziato non cambia. La trasformazione dell'Africa in un magazzino di materie prime gestito da Pechino, l'impoverimento delle popolazioni locali e la conseguente spinta migratoria verso l'Europa, sono solo alcuni dei frutti avvelenati prodotti dal neocolonialismo cinese orchestrato da Xi Jinping.
E lo stesso dicasi per la minaccia cyber. La Cina di Xi Jinping è una delle navi scuola di quella pirateria cibernetica che minaccia i segreti delle industrie occidentali favorendone il trasferimento nelle casseforti del capitalismo di stato del Dragone.
Quanto ai diritti umani c'è da chiedersi se qualcuno degli interlocutori del Forum si premurerà di chiedere all'ospite speciale Xi Jinping quante centinaia di migliaia di uighuri internati nei campi di lavoro dello Xinjiang e trasformati in schiavi contribuiscano alla produzione di merci destinate all'Occidente. O quali siano i suoi piani per Hong Kong e Taiwan. Se nessuno lo farà, Davos farà meglio a trasformare la mesta edizione «on line» nella premessa per una definitiva chiusura. Risparmiando così ipocrisia e vergogna.
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