Zelensky come Scipione. Illogico che l'inferno si fermi sui confini russi

Bene la cautela, ma la linea Ue è giusta L'aggressore non può restare impunito

Zelensky come Scipione. Illogico che l'inferno si fermi sui confini russi
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La prudenza di chi considera l'attacco a sorpresa dell'esercito ucraino nella regione russa di Kursk è comprensibile, dettata dal timore che possa innescare un'escalation, ma è anche vero che non si può chiedere al governo di Kiev di trasformare il suo territorio in una palestra di guerra lasciando intonsi i territori del Paese aggressore. È un paradosso, una contraddizione, sarebbe come dire che in territorio ucraino sono possibili eccidi, deportazioni, evacuazioni per responsabilità dei russi, mentre 40 chilometri più in là, oltre il confine, tutto dovrebbe restare normale, come se la guerra non ci fosse. Un assurdo.

In fondo le parole di Zelensky - «la Russia ha portato la guerra nella nostra terra e deve sentire ciò che ha fatto» - anche se hanno fatto storcere la bocca a molti benpensanti, hanno una ratio. Se si vuole raggiungere la pace chi ha provocato la guerra deve essere consapevole del delitto che ha commesso. Altrimenti se si accetta l'idea che sul versante ucraino del confine c'è l'inferno mentre su quello russo il paradiso, se si considera lecita e si garantisce questa situazione, allora per il Cremlino il conflitto potrebbe andare avanti altri due anni. Non commento, per evitare polemiche di fronte alle tragedie, le affermazioni dei soliti benpensanti a senso unico, di quei pacifisti tutti d'un pezzo, che ieri concionavano sulle cinque vittime provocate dall'attacco nella popolazione russa, dimenticando i massacri che si sono consumati in questi due anni in terra ucraina come se esistessero morti di serie A e di serie B.

La verità è che la guerra, purtroppo, è guerra. Chiedere all'Ucraina di utilizzare le armi che gli arrivano dagli alleati solo sul suo territorio è un non senso, un'affermazione da azzeccagarbugli. Tant'è che sul versante delle autocrazie nessuno si è sognato di porre alla Russia - né l'Iran, né la Cina - dei limiti sull'uso delle armi che gli vengono inviate. Né tantomeno si può intervenire sulle scelte strategiche dell'esercito ucraino visto che sono loro a rischiare, sono loro a pagare il conflitto in termini di vite umane. In fondo a Kiev hanno adottato la strategia che fu di Publio Cornelio Scipione che portando la guerra a Cartagine costrinse Annibale al ritorno in patria.

Ecco perché l'atteggiamento dell'Unione Europea che non ha battuto ciglio sull'attacco ucraino, giudicandolo legittimo, ha una sua base logica: dopo due anni di guerra in cui lo zar si è sempre voltato dall'altra parte senza mai accettare l'idea di una mediazione, varcare il confine serve a far capire alla popolazione russa cosa significa essere in guerra e sul piano strategico ad indurre l'armata rossa a rendere meno pressanti gli attacchi nella regione del Donbass. Inoltre quando ci sarà un vero negoziato, speriamo presto, il governo di Kiev avrà a disposizione un altro argomento come merce di scambio.

Insomma, quanto è avvenuto nel Kursk è solo l'ultimo capitolo di una guerra cominciata dai russi. Motivo per cui dopo due anni di conflitto non si possono porre dei limiti alle strategie di Kiev dandogli come unica opzione una guerra di logoramento e di massacri nel territorio ucraino. Allora sarebbe più onesto chiedergli di arrendersi. L'unica vera alternativa è quella semmai di convincerla a rinunciare a un pezzo dei suoi territori in cambio di una soluzione che gli garantisca davvero un futuro di pace.

Una soluzione che non può essere condizionata dalla volubilità del Cremlino e che, quindi, in un modo o nell'altro, direttamente o indirettamente, deve essere garantita dalla Nato. Ma un epilogo del genere, che riporti la pace, ha bisogno innanzitutto di un «sì» di Putin che per ora non c'è.

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