Bankova Street a Kiev l'abbiamo vista svariate volte in 65 giorni di guerra, ma mai dalla diretta prospettiva dello staff presidenziale alle prese con i «parà» delle forze speciali di Mosca sulla testa; con l'ordine di catturare o uccidere Volodymyr Zelensky. Primissime ore di invasione. Il Cremlino ha fretta. Kiev è piena di sabotatori: spie che passano informazioni ai russi. Finché scatta il blitz. Pochissimi all'interno del complesso presidenziale ucraino, rivela il magazine americano Time, sapevano maneggiare armi. Uno era Oleksiy Arestovych, veterano dei servizi segreti militari e ora consigliere di Zelensky. «Era un manicomio assoluto», racconta, sostenendo che i russi abbiano tentato due volte di prendere d'assalto il complesso.
Zelensky, moglie e figli si trovavano lì. Con loro, pure il presidente del Parlamento Ruslan Stefanchuk, al quale la catena di successione in Ucraina affida il comando qualora il presidente dovesse essere ucciso. Stefanchuk, la mattina dell'invasione, corse in Bankova street, invece di cercare riparo. Ci si mostrò poi il presidente ucraino all'alba del 26 febbraio, dopo le voci di fuga, o meglio di un'ipotetica esfiltrazione coordinata dagli Stati Uniti per lasciare il Paese in sicurezza, seccamente rifiutata dal diretto interessato che aveva pure ricevuto la proposta anglo-americana di costituire un governo in esilio. Zelensky scese in strada col telefonino, e in diretta social disse: «Abbiamo bisogno di armi, non di passaggi», smentendo nel video-selfie «false notizie» di resa: «Non ci stiamo arrendendo, siamo qui e stiamo combattendo per la nostra nazione». La passeggiata nel distretto governativo della città celava un retroscena agghiacciante. «Le guardie all'interno del complesso hanno spento le luci e hanno portato giubbotti antiproiettile e fucili d'assalto per Zelensky e una dozzina di collaboratori».
Cosa era successo in quelle ore era rimasto un rincorrersi di voci, racconti di terza mano sulla routine di Zelensky nel palazzo diventato casa-rifugio. Qualcosa era invece appena accaduto: il primo tentativo di raddrizzare l'Ucraina da parte dell'esercito russo, colpendo il presidente, c'era stato eccome. «Nel mondo di Zelensky», come si intitola il reportage di Simon Shuster su Time, è lo stesso presidente a descrivere per la prima volta come le truppe russe siano arrivate vicine e impadronirsi del distretto governativo di Kiev il primo giorno del conflitto. Ricordi «frammentati», ma terribili. Dopo l'inizio dei bombardamenti, lui e sua moglie Olena sono andati dalla figlia, 17 anni, e dal figlio di 9: «Preparatevi...». «Li abbiamo svegliati», ha detto Zelensky a Time. Le squadre d'attacco russe si erano paracadutate a Kiev.
Forze speciali di Mosca, scrive Shuster, puntavano al complesso della presidenza: per ucciderli o catturarli. Dall'interno dell'ufficio del presidente si sentivano colpi d'arma da fuoco. Divenne subito chiaro che quegli uffici non erano il posto più sicuro dove stare, e mentre le truppe ucraine combattevano i russi nelle strade circostanti, la guardia presidenziale cercò di sigillare il complesso con tutto ciò che riuscì a trovare. Un ammasso di transenne della polizia e assi di compensato per bloccare il cancello all'ingresso posteriore; più simile a un cumulo di rottami di una discarica che a una fortificazione.
«Prima di quella notte, avevamo visto cose del genere solo nei film», racconta il capo di gabinetto di Zelensky, Andriy Yermak. Shuster, spiega il sommario in copertina, è stato «dentro il compound con il presidente e il suo team» per due settimane, ne ha svelato la quotidianità della guerra tra notti insonni, sirene anti-aeree e un'agenda controllata ossessivamente, alla ricerca di qualcosa di utile a cui aggrapparsi per mantenere il controllo in quelle drammatiche ore, che non fossero solo le telefonate dell'Occidente. Seguiranno altri tentativi di omicidio. Siamo almeno a 4, dall'alba di quel 24 febbraio. I parà, poi i ceceni di Kadyrov e i mercenari della Wagner.
In mezzo, un leader che dall'impreparazione iniziale viaggia ormai con apparecchiature crittografate fornite dagli americani con cui parla con il presidente Joe Biden senza poter essere intercettato. In una Kiev bonificata.
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