È rosso, come il sangue che viene fuori dopo uno dei rituali classici di Cosa nostra, la cosiddetta «punciuta», la puntura al dito per suggellare col sangue, appunto, il patto con l'organizzazione. Ma a parte questo richiamo cromatico, nulla lo fa catalogare tout court come mafioso: niente coppola, niente «pizzini» per comunicare con gli affiliati, niente intercettazioni compromettenti. Di qui, risentito, la sua denuncia: perché essere bollato come mafioso non è bello, neanche per chi di mestiere fa il pomodorino, anzi il pomodorino di Pachino, prodotto ortofrutticolo d'eccellenza che ormai da tempo ha varcato le soglie della Sicilia per diventare famoso in tutto il mondo.
Finisce in tribunale la querelle tra il consorzio Igp che tutela il celebre ortaggio e la Rai. I legali hanno presentato querela contro la tv di Stato e in particolare contro Maurizio Costanzo e Alessandro Di Pietro. Oggetto del contendere, la puntata dello scorso 3 febbraio di «Bontà loro», quando Di Pietro invitò i consumatori a boicottare il prodotto perché sulla sua produzione incombeva l'ombra della mafia. Fu il putiferio già allora, con proteste, richieste di riparazione e polemiche. Ora il ricorso alla giustizia. «Nonostante siano trascorsi oltre tre mesi dalle sparate mediatiche del signor Alessandro Di Pietro su RaiUno - scrive sul sito www.igppachino.it il direttore del consorzio, Salvatore Chiaramida - a testimonianza del terrorismo mediatico praticato da certe trasmissioni tv, frutto di ignoranza e superficialità, sono finora cadute nel vuoto le rassicurazioni avute dall'assessore regionale (siciliano, ndr)Elio D'Antrassi e dal ministro Galan circa il finanziamento di una campagna pubblicitaria a risarcimento del danno di immagine ricevuto che si è naturalmente tramutato in danno economico.
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