"La porta" apre il romanzo ad handicap

Prima edizione italiana del libro di Georges Simenon. Il marito ha perso le mani in guerra, la moglie aiuta come può un ragazzo malato

"La porta" apre il romanzo ad handicap
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Fra i romanzi di Georges Simenon, lui stesso e i suoi critici hanno individuato alcuni filoni dai contorni piuttosto netti, ad esempio il roman de moeurs (romanzo di costumi), il roman psychologique (romanzo psicologico), il roman-crise (che si sviluppa in seguito alla rottura di un equilibrio), il roman chronique (che abbraccia un lungo periodo). Ci permettiamo di suggerirne un altro: il roman handicap. Essendo la disabilità di per sé un dramma, quando compare nelle storie raccontate da Simenon, che sono sempre drammatiche, ne accentua il tono noir, e non soltanto con la condizione di palese difficoltà in cui versa il tale personaggio, ma anche con l'irrimediabilità della stessa che assume i contorni di una condanna a vita. Accade in Il borgomastro di Furnes (1938), che l'autore disse di aver scritto «in un vero e proprio stato di allucinazione», dove la vita del sindaco Joris Terlinck è segnata, oltre che dalla malattia mortale della moglie, dalla demenza della figlia, reclusa in casa. Accade in Marie la strabica (1952), dove il rapporto morboso e di dipendenza della protagonista nei confronti della bellissima amica è come il cordone ombelicale che lega e soffoca due esistenze. Accade in Le campane di Bicêtre (1963), dove il malore di René Maugras, uomo di grande successo, lo relega allo stato di larva senziente, anzi ipersensibile, e per ciò ostaggio, oltre che della sofferenza, della rabbia.

E accade anche in La porta (1962), romanzo finora inedito in italiano ora proposto da Adelphi (pagg. 144, euro 18, traduzione di Laura Frausin Guarino). A pagina 16, alcuni frequentatori del genere nero made in France avvezzi a prescindere dalle bandelle non per sfiducia nei confronti dei redattori, ma per non depotenziare di una virgola il piacere della lettura, drizzeranno le antenne della memoria ricordando I volti dell'ombra di Boileau e Narcejac (1953). Se là, nel libro della formidabile coppia di amici, colleghi e concorrenti del grande Sim, seguiamo l'indicibile tormento di Richard Hermantier, divenuto cieco a causa dell'esplosione, nel giardino della sua casa di villeggiatura, di una bomba della Seconda guerra mondiale, anche qui è stato un ordigno, una mina, a privare di entrambe le mani Bernard Foy quando si trovava, soldato, fra le linee Maginot e Siegfried, nel '40. Anche qui la vicenda si svolge in piena estate, a cavallo della Festa nazionale del 14 luglio, e anche qui c'è una bella moglie della quale essere comprensibilmente gelosi...

Siamo a Parigi, in rue Turenne, presso place des Vosges, vent'anni dopo l'evento che in un istante ha trasformato Foy, da meccanico di auto a Les Halles prestato alla patria e impaziente di riabbracciare la sua Nelly, sposata poco prima dell'arruolamento, in invalido. Lui se ne sta sempre in casa, a decorare abat-jour con i suoi uncini (non ha voluto saperne delle grottesche protesi, accontentandosi del lavoro di un vecchio artigiano). Lei lavora in una ditta di passamanerie. Lui a 42 anni vive delle vite degli altri, che osserva dalle finestre (La finestra sul cortile, ecco un altro riferimento letterario, al racconto del '42 di Cornell Woolrich, e cinematografico, al filmone di sir Alfred Hitchcock) e dei quali ascolta i rumori. Quando nel palazzo dei Foy viene ad abitare il fratello di una collega di Nelly, Bernard deve misurarsi, a debita distanza, con un altro disabile, visto che il giovane Pierre è stato vittima della poliomielite. Può Nelly rifiutarsi di fare da tramite, per le incombenze quotidiane, fra Pierre e la collega? Certo che no.

Può Bernard chiudere un occhio ed entrambe le orecchie? Certo che no.

La porta è quella che un giorno Bernard socchiude quanto basta per sentire dentro di sé, vent'anni dopo, una nuova esplosione. E comprendere che la sua esistenza è diventata un moncherino.

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