"Il potere del cane" che incatena l'amore

Thomas Savage è autore di vari romanzi western ambientati nel Montana. Dal suo "Il potere del cane" la regista Jane Campion ha tratto il film omonimo

Jane Campion ha tradotto una storia biblica, che pare estorta dal Libro dei Re, in una vicenda da camera. Come far suonare Beethoven a Schubert. D'altronde, è il suo talento: racchiudere sotto vetro il selvaggio. Quando Thomas Savage pubblicò Il potere del cane, nel 1967, aveva 52 anni, diversi mestieri alle spalle, dal saldatore all'operaio per le ferrovie al professore di letteratura. Era cresciuto in un ranch, nel Montana, proprietà del secondo marito della madre: eccelleva come cowboy ed era agitato da una livida inquietudine. Il potere del cane (ora ripubblicato da Neri Pozza) è il suo quinto libro, aveva esordito nel '44, con The Pass, fu un capolavoro vano. Recensioni eccellenti - di «misura magica» e «personaggi inevitabili, classici» disse il New York Times -, scarse vendite. La storia dei fratelli Burbank, in un paesaggio di albina ferocia, non convinceva le masse. L'incipit, pazzesco - si descrive l'arte della castrazione, i testicoli che «scoppiavano come enormi popcorn», il pasto che ne veniva fatto, «certi uomini, si diceva, se li mangiavano conditi con sale e pepe. Ostriche di montagna, li chiamava Phil» -, inaugura una vicenda truce e turbata, che ha come apice Phil Burbank, imperiale, di raffinata intelligenza, violento («Aveva ammazzato spellato e impagliato una lince con l'abilità di un imbalsamatore»), a contrario di George, il fratello, taciturno, pingue, anonimo, fuori posto. A recidere l'idillio fraterno, il matrimonio di George con Rose, vedova di un medico suicida, madre di Peter, allampanato, effeminato, di innocente crudeltà.

Il romanzo è molto più vasto della pur bella, merlettata resa cinematografica, dotato di una scrittura, per così dire, rituale («Gli occhi di Phil erano azzurro chiaro. Inespressivi? Qualcuno diceva innocenti... Nella Natura stessa - nel modo ingenuo e all'apparenza casuale in cui prendeva forma e si organizzava - vedeva il soprannaturale»). Per capire il contesto: quell'anno Bernard Malamud vince il National Book Award con L'uomo di Kiev; nel '69 Sam Peckinpah dà una svolta al western con Il mucchio selvaggio. Thomas Savage muore nel 2003, la notizia passò per pigre didascalie. Dal 1988 non pubblicava più; la moglie, Elizabeth Fitzgerald, scrittrice pure lei, era morta quell'anno. Savage si scoprì, sposato, omosessuale; i suoi romanzi furono riscoperti, come dimostra l'entusiasta postfazione di Annie Proulx, nel nuovo millennio. Il cuore del libro, che mozza il fiato, è una collina in cui Phil «vedeva la forma sconcertante di un cane in corsa». L'inseguimento di cui è metafora la collina - o meglio: l'infatuazione rimossa di Phil per Peter - avvierà la tragedia.

La risposta remota del romanzo è in un versetto tratto dal Book of Common Prayer: «Libera l'anima mia dalla spada/ e il mio amore dal potere del cane». Proviene dal Salmo 22, quello che Gesù sussurra in croce, prima di spirare. Traduce queste frasi, di shakespeariana bellezza, «Deliver my soul from the sword; my darling from the power of the dog».

Nella Bibbia che avete sul comodino - per comodità: versetto 21 - lo trovate in una formula affatto diversa. Anche questo è un mistero. Nel West, da catastrofici pionieri, si va con una pistola nella cinta e una Bibbia in tasca.

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