Cavernicoli, bruti, primitivi sì, ma con il senso dell'estetica. Nella Grotta di Fumane, in Veneto, è stato rinvenuto un «laboratorio» di piume ornamentali con le quali si abbellivano nientemeno che gli uomini di Neanderthal. Tutti i particolari della sensazionale scoperta sono pubblicati sul nuovo numero della rivista «Archeologia Viva» (Giunti Editore).
La storia dell'uomo di Neanderthal, cugino estinto di Homo sapiens, la specie cui apparteniamo, continua a riservare colpi di scena. L'ultimo, in ordine di tempo, arriva dal buio della Grotta di Fumane, nelle Prealpi Venete, dove i nostri lontani parenti, si è scoperto, lavoravano ossa e piume di volatili per farsi belli. Che l'uso della scheggiatura per i neandertaliani non avesse segreti lo sapevamo da tempo, ma che la finalità potesse essere, in certi casi, puramente estetica è una novità assoluta. Sono i reperti riportati in luce grazie alle ricerche condotte a Fumane dall'Università di Ferrara (Sezione di Paleobiologia, Preistoria e Antropologia) a scrivere una pagina inedita e piena di curiosità su un aspetto della vita dei Neanderthal a cui non avremmo mai pensato. Le ricche testimonianze conservate nei depositi della grotta veneta forniscono una precisa documentazione sulla componente «vanitosa» dei nostri cugini, colonizzatori del continente europeo durante l'ultima epoca glaciale, scomparsi tra 50 e 40 mila anni fa sotto la inesorabile pressione antropologica della nostra specie.
Un lavoro certosino, «al millimetro» diremmo oggi, quello compiuto dai Neanderthaliani sulle ossa ora rinvenute nella cavità dei monti Lessini, una delle aree più note della preistoria italiana. Su alcune parti delle ali di uccello come l'ulna, l'omero e il metacarpo sono ben visibili (al microscopio) le tracce lasciate da finissime lame di selce sapientemente maneggiate.
Si tratta di ossa che appartengono alla parte finale dell'ala e che non rivestivano interesse alimentare. Tra i vari tipi di volatili, i rapaci (aquile e falchi soprattutto) erano i prediletti, per utilizzarne il bel piumaggio, ma anche per il significato simbolico che i predatori giocavano nell'immaginario collettivo di popolazioni che vivevano di cacci.
«È un scoperta - scrive l'antropologo Marco Peresani sul numero in edicola di "Archeologia Viva" dove vengono presentati i sensazionali ritrovamenti di Fumane - che non si allontana dalla documentazione etnografica sull'arte piumaria ancora in uso nelle popolazioni primitive superstiti o tra i nativi del Nord America».
Ormai abbiamo le prove che anche per l'uomo di Neanderthal l'occhio voleva la sua parte.
La scoperta della Grotta di Fumane, riscatta una volta per tutte i Neandertal dall'immagine di bruti che per oltre cento anni ha ingiustamente accompagnato il nostro parente più stretto.
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