Il premier a Berlino dà la linea: mi dicono che l’opposizione ha depositato 400 emendamenti. Ma Schifani (Fi) lo smentisce: ne presentiamo pochissimi Deleghe ai ministri, Prodi costretto alla fiducia Il governo batte un altro record: per far passare il

Gian Maria De Francesco

da Roma

Il governo al Senato parte subito chiedendo il voto di fiducia per la conversione del decreto riguardante il cosiddetto «spacchettamento» dei ministeri. La stentata maggioranza a Palazzo Madama ha suggerito al premier Prodi di usare le maniere forti. Le difficoltà incontrate nel superare l’ostacolo del voto sulle pregiudiziali di costituzionalità martedì scorso e le polemiche del centrodestra sul voto dei «pianisti» hanno indotto il presidente del Consiglio a giocarsi la carta della fiducia per evitare scollamenti e assenze impreviste che avrebbero potuto mettere a rischio la base stessa sulla quale poggia il governo che ha battuto il record di poltrone.
È stato lo stesso Prodi da Berlino ad annunciare la posizione dell’esecutivo. «Mi dicono che ci sono 400 emendamenti o forse più. È chiaro che in questi casi si pone la fiducia», ha detto il Professore che ha puntato sulla tempistica ristretta più che sull’esiguità della maggioranza per giustificare una decisione che, di fatto, annullerà il dibattito parlamentare. Il decreto sullo spacchettamento, infatti, è già stato modificato dal governo con un maxiemendamento che ne riscrive il primo dei due articoli. A questo si aggiungono i 150 subemendamenti ai cambiamenti apportati dall’esecutivo e i 250 emendamenti della Cdl presentati in Commissione. Il Senato avrebbe dovuto esaminare il tutto il 27 giugno, ma i rischi di uno slittamento sarebbero stati notevoli con la pletora di modifiche sulle quali deliberare. La seduta comune delle Camere il 4 e 5 luglio per l’elezione di otto membri della Corte costituzionale e la scadenza del decreto il 12 luglio avrebbero complicato enormemente la situazione. Di qui la scorciatoia. «Quattrocento emendamenti non sono discutibili quando c’è l’urgenza di prendere delle decisioni», ha aggiunto il Professore che poi ha rifilato con nonchalance una stoccata al suo predecessore. «E poi ricordo che il governo precedente ha messo addirittura la fiducia sulle riforme costituzionali, quindi non credo che la cosa sia sorprendente», ha concluso. Con buona pace del galateo istituzionale.
Prodi, però, non ha fatto altro che tradurre in realtà un’ipotesi che già circolava a Palazzo Madama in mattinata. «Se la Cdl continuerà la corrida - aveva dichiarato il ministro per le Riforme Vannino Chiti - valuteremo la necessità di mettere la fiducia». Rinfrancata anche la capogruppo dell’Ulivo al Senato, Anna Finocchiaro. «Una decisione necessaria, mi pare la via giusta, quindi condivido l’idea di Prodi», ha affermato. E con la benedizione dei Ds serrare i ranghi dovrebbe essere meno difficile.
Nel centrodestra, invece, non si è risparmiato il sarcasmo per l’aver costretto il governo sulla difensiva con un’opposizione ferma. «Le doti medianiche di Prodi forse lo portano a confermare che gli emendamenti della Cdl per l’Aula saranno moltissimi. Non gli sembra vero ricorrere alla fiducia, con buona pace della sua volontà di dialogo. Noi gli diamo una cattiva notizia: la Cdl presenterà pochi emendamenti», ha sottolineato il capogruppo di Forza Italia al Senato Renato Schifani. «Se Prodi a questo punto confermerà il voto di fiducia - ha aggiunto - dimostrerà quale tipo di rapporto intende avere con il Parlamento. Cioè nessuno. Ma quante fiducie potrà richiedere?».
Critico anche il presidente dei senatori di An, Altero Matteoli, tra i protagonisti delle contestazioni di martedì scorso. «Sul primo provvedimento varato - ha commentato - Prodi già si arrende e chiede la fiducia. Ricorrere alla fiducia su un provvedimento che è alla base della formazione del governo è un altro segnale di estrema debolezza».

E anche il capogruppo dell’Udc, Francesco D’Onofrio, l’ha presa con sense of humour. «Peggio di così questo governo non poteva nascere nonostante la respirazione bocca a bocca di alcuni senatori», ha rilevato D’Onofrio.

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