Il premier si sente accerchiato Anche Casini gli spara addosso

BERLUSCONI A FINI «Ogni decisione presa insieme. Se c’è un solista, non sono io»

Il premier si sente accerchiato Anche Casini gli spara addosso

RomaSbuffa di continuo, il Cavaliere. Nel senso che non sa più dove mettere una nuova toppa. D’altronde, spiega a chiare lettere un ministro, Silvio Berlusconi «sta subendo un’aggressione organizzata in piena regola», con l’obiettivo dichiarato di arrivare allo «show-down» finale. Un «tentativo corale» di disarcionamento, che non andrà però a buon fine: «Se lo scordano, il presidente ha la pellaccia dura, come ha dimostrato già parecchie volte nel corso degli anni».
Ma tant’è: l’inquilino di Palazzo Chigi sente sempre più puzza di bruciato, convinto che da tutte le parti ci sia qualcuno a volergli indicare l’uscita. Così, se si gira a destra, s’imbatte in Gianfranco Fini, colui che continua a bombardarlo di no e si vanta di «non avergliene fatta passare nemmeno una», con esplicito riferimento ai paletti fissati nel tumultuoso vertice di martedì scorso. In quel faccia a faccia che partorisce un compromesso al ribasso: per il Cavaliere, ovviamente. Se si volta al centro, si ritrova davanti Pier Ferdinando Casini, pronto a bollare come «porcheria» il disegno di legge sul processo breve. Se indirizza lo sguardo a sinistra, gli ripiglia l’orticaria, a furia di sentire «i soliti comunisti» o quel «giustizialista» di Antonio Di Pietro. Se si guarda alle spalle, non può far finta che il capitolo divorzio dalla moglie non esista. Insomma, non gli resta che puntare dritto, nella speranza che il «momento no» passi in fretta. Pur sempre deciso a calare l’asso del consenso popolare, il suo unico «scudo» rimastogli, qualora servisse per non alzarsi senza fiches dal tavolo. Tanto per capirci, sa di dover giocare al rilancio, con l’attività di governo (vedi la nuova offensiva sul taglio delle tasse), e tentare, come ultima mossa, di affidare la parola agli elettori.
Intanto, però, si trova a leggere e rileggere quella frase di Fini - pubblicata ieri dall’Espresso - che lo manda ai matti. Tanto da confidare per l’ennesima volta: «Non capisco proprio cosa gli passi per la mente e dove voglia arrivare». Anche perché, «non può continuare ad accusarmi, senza motivo, di essere un monarca». Non lo può fare perché «Gianfranco sa benissimo che ogni scelta del Pdl è stata condivisa». Un punto fermo per Berlusconi: «È così. E come avvenuto in passato, stiamo decidendo tutto insieme, anche per le Regionali di marzo. Tant’è vero che lui ha un ruolo chiave nelle trattative». E poi, «sono contento che dica di non andare in ordine sparso e che occorre fare squadra. Ma se c’è un solista, quello non sono certo io».
Non se ne esce. Come se non bastasse, infatti, deve far finta di non aver letto lo sfogo della terza carica dello Stato sul «patto violato». E auto-convincersi di non aver visto o sentito parlare della performance del finiano Fabio Granata ad Annozero. Senza contare che lunedì - si racconta in Transatlantico - la truppa di deputati ex An presenterà un maxi-emendamento sostitutivo del testo sul testamento biologico approvato già al Senato. Una nuova prova di forza, che vedrà coinvolti anche alcuni parlamentari ex Forza Italia, a onor del vero con l’obiettivo di rimettere la scelta alla famiglia.
Ma a tenere banco è sempre la questione giustizia, con Casini che boccia il ddl sul processo breve: è «profondamente incostituzionale», di fatto «un’amnistia mascherata». L’Udc dirà «no» dunque al provvedimento «porcheria», ma apre una finestra per la presentazione, «al più presto», di un nuovo Lodo Alfano, attraverso una «legge costituzionale». In ogni caso, per il leader centrista, a questo punto «sarebbe meglio reintrodurre l’immunità parlamentare sul modello europeo». Un’opzione, quest’ultima, considerata ormai «indifferibile» pure dal Pdl. Quindi, come rimarca anche Fini, «non sarebbe uno scandalo» affrontare la questione immunità, senza confonderla con impunità.
Ad ogni modo, il problema va risolto, è il ritornello che agita la maggioranza, preoccupata che le ormai note toghe rosse possano «allungare nuovamente i loro artigli sul premier». Se sia il caso o no, di ripresentare un Lodo Alfano-bis, si vedrà.

Nell’attesa, il Guardasigilli, da cui prende il nome lo scudo legale bocciato dalla Consulta, ricorda: «Noi abbiamo presentato una legge che c’è sempre sembrata equilibrata e giusta nella sua radice di fondo ed è stata dichiarata incostituzionale». Ma «chi dovesse ritenere giusta quella norma - invita Alfano - ha la possibilità di ripresentarla in forma costituzionale». Come dire: ben venga, non sarà certo il Pdl a votare contro.

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