da Washington
«Un carpaccio». «Con rucola?». «No, coca». È lidea di un menu proposto dal presidente peruviano Alan Garcia, una ricetta di un libro da cucina che egli vorrebbe scrivere. Non stava scherzando: ha lanciato la proposta in un colloquio con i giornalisti stranieri accreditati a Lima e lha presentata come unalternativa alla «guerra alla droga» che infuria un po in tutto il mondo, ma particolarmente nella regione andina. Nelle foglie di coca, ha insistito Garcia, non cè niente di nocivo. Sono solo una buona spezia e, in più, hanno proprietà medicinali. Il sapore, ha precisato per i non molti interlocutori che, vivendo in Perù, non lavevano mai assaggiata, è simile a quello del rosmarino e pertanto si presta particolarmente per gli arrosti. Ci si possono fare, naturalmente, anche insalate e le si può introdurre un po in tutte le salse. A modico prezzo, perché dalle sue parti di foglie di coca ne crescono proprio tante. Non tutte illegali: in Perù i contadini hanno il permesso di coltivare una piccola quantità legalmente, ma il surplus è vietato e il governo è tenuto a sradicarle. Lo consigliano le pressioni straniere, soprattutto degli Stati Uniti, perché dalla coca si estrae la cocaina e quella no, non fa bene alla salute. Lo ammette anche il presidente Garcia. Però fa tanto bene alleconomia dei contadini più poveri delle Ande (che sono purtroppo la maggioranza dei contadini) che ricavano di più da quelle foglie che da quasi tutte le altre coltivazioni. Lidea di Garcia è di liberalizzare la produzione, anzi di incrementarla e di concentrare gli sforzi di prevenzione, invece, sulletere e sul kerosene, gli agenti chimici usati per trasformare la coca in cocaina.
Può sembrare una proposta originale e forse lo è. Ma non è priva di precedenti. Il presidente della Bolivia, Evo Morales, si propone una «liberalizzazione» molto più radicale, che considera come la forma più rapida ed efficace di «riforma agraria» e di aiuto alle masse contadine. Quella di Morales, del resto, è una storia molto personale, perché la sua carriera politica è cominciata proprio come attivista e poi presidente dellassociazione dei cocaleros, appunto i coltivatori di coca e si è svolta secondo linee tuttaltro che ortodosse, con un appello populista con toni razziali, rivolto alla popolazione di sangue indio, autoctona e maggioritaria, ma afflitta dal più basso livello economico dellAmerica Latina. Garcia è tuttaltra persona e ha un background politico completamente differente. Non è un debuttante, anzi, è un ex presidente rimbalzato al potere e alla ribalta dopo quasi ventanni. È cresciuto nelle file dell«Aprista», che è la forma sudamericana di socialdemocrazia e nelle ultime elezioni, pochi mesi fa, è stato appoggiato da tutte le forze politiche ed economiche «moderate», in alternativa al «Morales peruviano», Ollanta Humala, un protetto del venezuelano Chavez, sostenitore di una formula che si potrebbe riassumere nello slogan «libera coca in libero Stato».
Le conseguenze più drammatiche della guerra alla droga le conosce però la Colombia, terreno da decenni di una vera e propria guerra fra i narcotrafficanti da un lato e dallaltro non tanto le forze governative, che sono contemporaneamente impegnate contro la guerriglia comunista, quanto degli americani che forniscono armi e «danno una mano» in proprio a raid aerei contro le coltivazioni di coca. La «formula Garcia» potrebbe essere applicata anche a questo Paese vicino. Non solo, ma potrebbe contribuire, ha suggerito il presidente peruviano, al mantenimento della pace o almeno della distensione un po in tutto il mondo. Dovrebbe essere servita, aggiunge Garcia, soprattutto durante i «vertici» internazionali, dove i leader discutono, litigano «e gli viene la voce rauca. Basta che si mettano in bocca una foglia di coca umida e questa immediatamente gli ripulisce la gola». Provare per credere.
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